Mario Draghi (foto LaPresse)

Perché la Germania non deve preoccuparsi per i superstimoli di Draghi

Alberto Brambilla

Il presidente della Bce "è stato perfido", scrivono i giornali tedeschi. Le lobby bancarie e assicurative criticano l'operato di Francoforte per la politica dei tassi negativi sui depositi. Ma c'è un paper Bce che allontana l'angoscia tedesca

Roma. Con l’avvicinarsi delle elezioni in Germania, la Banca centrale europea è diventata oggetto di critiche più che in passato. La decisione di non ritirare immediatamente gli stimoli del Quantitative easing da parte di Mario Draghi e tenere bassi a lungo i tassi di riferimento e negativi i tassi dei depositi interbancari è stato ulteriore motivo di angoscia o “angst” in tedesco. Un termine che Draghi ha volutamente usato nella lingua di Goethe durante la conferenza stampa di giovedì scorso, scandalizzando gli editorialisti della Frankfurter Allgemeine Zeitung. “Draghi è stato perfido nell’affermare che avere ‘angst’ per la politica monetaria della Bce è totalmente fuori luogo, perché in pratica essa sarebbe priva di effetti collaterali negativi”, ha scritto il giornale favorito dall’establishment finanziario di Germania.

 

La lobby bancaria e assicurativa tedesca, attraverso i campioni domestici Deutsche Bank e Allianz, è da tempo critica verso i tassi di interesse negativi sui depositi parcheggiati in Bce in vigore dal 2014. La logica della manovra dell’Eurotower è penalizzare la detenzione di attività liquide per stimolare il credito, come sta succedendo, e quindi stimolare l’economia e incentivare l’aumento dell’inflazione. Potrebbero esserci vantaggi per le istituzioni finanziarie attraverso un aumento della domanda di prestiti e una migliore qualità delle attività. Le critiche, invece, sono sostanzialmente di due tipi. La prima è che i tassi negativi comprimono la redditività delle istituzioni finanziarie, attraverso costi maggiori che poi verrebbero scaricati sui clienti – preoccupazione tedesca, ma non solo. In secondo luogo si potrebbe scatenare una corsa al rendimento più alto tra gli investitori con relativo azzardo morale attraverso la ricerca di prodotti ad alto rischio stressando il mercato finanziario. Un working paper della Banca centrale europea “Do negative interest rates make banks less safe?” tende a fugare almeno questa fonte di angoscia. Il paper, uscito a settembre, valuta quale tipologia di banche è percepita dai mercati come più o meno rischiosa in questo contesto. Tale percezione di rischio è misurata dai ricercatori in base alla propensione di una certa banca a presentare deficit di capitale nell’eventualità di una nuova crisi finanziaria – particolarmente severa nella simulazione: un collasso del 40 per cento dell’indice azionario mondiale nel giro di sei mesi.

 

L’analisi della Bce è effettuata su un campione di 111 banche tra grandi banche universali sistemiche (il 15,3 per cento), banche dedicate alle imprese (19,8), concentrate sulla gestione del risparmio (16,2), piccole banche diversificate (28,8), la quota maggiore, e banche di dimensioni nazionali per la clientela retail (11,7). Emerge una certa eterogeneità circa l’effetto dei tassi negativi. In corrispondenza dalla loro introduzione, banche con un modello di business sufficientemente diversificato siano percepite dai mercati come meno rischiose rispetto a banche con modelli di business più tradizionali e che possono dipendere maggiormente dai depositi come fonte di finanziamento delle loro attività. Molto dipende da come una banca decide o può fare affari. Ma in generale i tassi negativi non sono un pericolo per la stabilità finanziaria europea e non ne sconvolgono l’economia. Al contrario possono spingere gli istituti, specie se un po’ retrò, a evitare la concentrazione del rischio su limitate attività. Argomenti utili anche alla cancelliera Angela Merkel, buona estimatrice di Draghi, per resistere alle pressioni della City sul fiume Meno. 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.