Una foto panoramica di Dushanbe, la capitale del Tagikistan (via Wikimedia)

Il tuffo del Tagikistan nella finanza globale

Enrico Cicchetti

Con l'assicurazione di Putin e di colossi internazionali, la ex repubblica sovietica tenta la scalata ai mercati emergenti e a un nuovo ruolo nell'Unione economica eurasiatica

L’attrazione per il rischio di molti investitori quest'anno ha convinto diverse economie emergenti e di frontiera a "lanciarsi" sul mercato e oggi sono un universo da oltre 3,5 miliardi di dollari. Il Tagikistan potrebbe essere l’ultimo stato a tastare il terreno. Secondo una fonte vicina al ministero delle finanze sentita dal Financial Times, la nazione centro-asiatica potrebbe emettere bond decennali, in dollari, già dalla prossima settimana.
    
Secondo gli indici di Bloomberg Barclays, nel 2017 i titoli sovrani in valuta locale dei mercati emergenti hanno generato un rendimento totale del 12,8 per cento. Non male se paragonato al 3 per cento per i titoli degli Stati Uniti e al misero 0,9 per cento per i debiti dei governi della zona euro. In ogni caso il Tagikistan non sarebbe il primo stato a cui Standard & Poor’s ha assegnato un rating spazzatura B- a vendere obbligazioni in dollari. In precedenza lo hanno già fatto, tra gli altri, Bielorussia, Iraq e Nigeria.
   
L’agenzia di rating Moody's ricorda che gli investitori dovrebbero essere consapevoli dei particolari rischi del paese centro-asiatico, come il deficit di energia e "classifiche molto basse" sul controllo della corruzione e sullo stato di diritto. Il paese ha uno dei più bassi pil pro capite di tutta l’area (840 dollari). Secondo il Cia world factbook circa un milione di persone – quasi la metà della forza lavoro – vive all'estero e per il Fmi il 45 per cento del pil dipende dalle loro rimesse. La ex repubblica sovietica è diventata dal marzo 2013 un membro dell'Organizzazione mondiale del commercio ed è guidata da 24 anni da Emomali Rahmon che l’anno scorso ha vinto un referendum che gli permetterà di governare il paese a vita. Tanto per capire di chi stiamo parlando: di recente il leader tagiko ha promulgato una legge che obbliga tutti i media a identificarlo, ogni volta che parlano di lui, con il suo titolo ufficiale: “Fondatore della pace e dell’unità nazionale, capo della nazione, presidente della Repubblica del Tagikistan, Sua eccellenza Emomali Rahmon”.
    

Da destra, il presidente pakistano Zardari, il tagiko Rahmon e il russo Dmitry Medvedev


 

  
Dopo la batosta ricevuta durante la crisi economica del 2008, la piccola nazione stretta tra lo Xinjiang e l’ex arcipelago sovietico, ha ricevuto prestiti e finanziamenti dalla Cina per sviluppare infrastrutture e migliorare la rete elettrica. Ma è soprattutto Mosca che sta forzando la leva per spingere il Tagikistan nell’Unione economica eurasiatica (Eeu), anche grazie all’accordo da 10 miliardi firmato dal gigante petrolifero russo Rosneft con la Qatar Investment Authority e il colosso minerario anglo-svizzero Glencore, che svolgono ruoli vitali per l'economia del paese. Se nel 2002 è stato raggiunto un accordo per la cancellazione di 250 milioni di dollari di debito sui 300 totali nei confronti della Russia, il 18 gennaio 2008 è iniziata la costruzione della diga idroelettrica 1 di Sangtuda grazie a investimenti russi, e sempre con un pioggia di rubli si innalzeranno la diga 2 e quella di Rogun – di cui è contractor l'italiana Salini Impregilo – che a fine lavori sarà la più alta del mondo.

   

L’ingresso del paese nell’Eeu è fondamentale per la strategia del Cremino nell’Asia centrale e per assicurare la sfera d'influenza russa su quegli stati sui quali la Cina ha messo gli occhi. Anche se il regime di Rahmon non vuole restare bloccato tra i due giganti, era comunque una destinazione poco appetibile per gli investitori internazionali. La loro sete potrebbe ora cambiare le carte in tavola.

Di più su questi argomenti: