Foto LaPresse

Non solo Mps, perché le banche italiane sono a un "reset" dopo le turbolenze

Alberto Brambilla

Dopo anni di turbolenze terrificanti, l’industria bancaria italiana ed europea si sta finalmente stabilizzando

Roma. Dopo anni di turbolenze terrificanti, l’industria bancaria italiana ed europea si sta finalmente stabilizzando, un “reset” come l’ha chiamato l’agenzia Bloomberg.

 

I funzionari di Commissione europea e Banca centrale europea martedì hanno dato il via libera al piano di ristrutturazione quinquennale del Monte dei Paschi di Siena, istituto simbolo della crisi bancaria italiana, e hanno accordato l’ingresso del Tesoro nel capitale con il 53 per cento delle azioni. Mps ha comunicato perdite per 3,2 miliardi di euro negli ultimi sei mesi, e già proveniva da un periodo prolungato di riduzione drastica della raccolta. Lo stato azionista dovrà ora procedere al taglio di 5.500 posti di lavoro, la chiusura di 600 filiali e smaltire 28 miliardi di euro circa di sofferenze e tentare di riportare Mps in Borsa in autunno. Dopo una serie di operazioni decisive negli ultimi mesi, gli investitori ritengono che il clima sia migliorato. L’indice del settore a Piazza Affari è salito del 31,6 per cento da febbraio. Ovvero da quando Unicredit ha realizzato un aumento di capitale da 13 miliardi di euro.

 

La banca guidata da Jean Pierre Mustier ha iniziato la ristrutturazione e nel secondo trimestre ha migliorato i conti in forza di un mix di aumento dei prestiti, taglio dei costi, riduzione delle perdite sui crediti, aumento dei ricavi da commissioni. Intesa Sanpaolo ha assorbito gli asset buoni di due banche venete decotte e con una pessima reputazione, Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza, grazie al trasferimento di almeno 5 miliardi dallo stato che le permetterà di non intaccare i coefficienti patrimoniali. Ubi ha rilevato le quattro banche regionali risolte con il bail-in nel 2015. Banco e Bpm hanno avviato la ristrutturazione post fusione e la nuova entità ha lasciato aperta la possibilità di staccare il dividendo a fine anno. La genovese Carige è ancora in sofferenza in attesa di riuscire a realizzare un aumento di capitale a lungo rimandato.

 

Ci sono stati dunque miglioramenti significativi, ma restano criticità importanti. Se infatti l’ammontare delle sofferenze comincia a diminuire, lo smaltimento dei crediti deteriorati sarà un processo che richiederà un decennio almeno prima che il livello complessivo si allinei con la media europea, dice l’agenzia di rating Moody’s. Alla fine del 2016 il sistema bancario nazionale era appunto seduto su 313 miliardi di euro di prestiti che difficilmente verranno restituiti, pari al 15 per cento del totale erogato. Ultimamente la società di consulenza Jefferies, rilanciata dal Financial Times, ha notato una riduzione di 20 miliardi di euro nell’esposizione sui titoli di stato da parte delle banche italiane nel mese di giugno. Secondo gli analisti, il motivo è la preparazione alla riduzione degli acquisti di titoli pubblici da parte della Banca centrale europea, quando il programma di Quantitative easing andrà verso l’esaurimento.

 

La scelta potrebbe anche derivare dalla prospettiva del ritorno a una discussione europea più fattuale sulla preparazione del cantiere dell’Unione bancaria: secondo la visione tedesca alla condivisione dei rischi attraverso la creazione di un fondo europeo per la tutela dei depositi dovrà infatti corrispondere la fissazione di un tetto per il possesso di titoli di stato da parte delle banche, al fine di rompere il circolo vizioso tra rischio sovrano e settore del credito. Molto dipenderà da come politica e regolatori approfitteranno di migliorate condizioni generali.

  

Se finora il rischio – scongiurato – era quello di innescare una crisi del settore, la sfida decisiva per le banche sarà quella di recuperare margini di guadagno, dai livelli insoddisfacenti attuali e del passato, e soprattutto riuscire ad adeguarsi ai requisiti molto stringenti che entreranno in vigore all’inizio dell’anno prossimo, quando sarà richiesto di coprirsi in tempo reale da perdite potenziali – dunque non accertate ma solo possibili – con la conseguenza di dovere predisporre accantonamenti massicci ed eventualmente essere più prudenti sulla concessione di prestiti.

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.