L'estate del nostro contento

Claudio Cerasa

Il turismo è una favola. L’Europa è come un treno. L’Italia migliora e pure in Libia qualcosa inizia a funzionare. I cavalieri dell’apocalisse finiscono in mutande, ops, ma il circo mediatico non ha nulla da mettersi per andare al mare (e un motivo c’è)

Per i professionisti dell’apocalisse, l’estate del 2017 promette di essere una stagione particolarmente complicata. Piccolo riassunto, per chi si fosse perso qualcosa. Un mese fa, l’andamento del commercio mondiale ha segnato un incremento record, arrivando a crescere di una cifra vicino al due per cento. Qualche giorno fa, la disoccupazione in Europa ha raggiunto i minimi da oltre otto anni, arrivando al 9,1 per cento nell’Eurozona e al 7,7 per cento nella Europa a 28. Alla fine di luglio, il Fondo monetario internazionale ha rivisto in rialzo il pil dell’Eurozona, portando la stima sul 2017 a quota più 1,9 per cento (da +1,7) e rivedendo al rialzo anche la stima per l’Italia (da +0,8 per cento a +1,3 per cento, 0,5 punti in meno della Germania). Sempre nello stesso rapporto, il Fondo monetario ha rivisto al ribasso le stime di crescita di due grandi paesi dell’occidente in cui un’apocalisse politica si è verificata davvero, ovvero la Gran Bretagna (da più 2 per cento a più 1,7 per cento) e gli Stati Uniti (da più 2,5 per cento a più 2,1 per cento).

 

Quanto all’Italia, l’Istat, nel suo bollettino di luglio pubblicato qualche giorno e naturalmente ignorato dai principali giornali italiani per ragioni che vale la pena approfondire, ci dice che le cose potrebbero andare meglio ma che comunque iniziano ad andare molto meglio del previsto. Verrebbe quasi da dire: sì, coraggio, le cose vanno bene. Nella media del trimestre marzo-maggio, l’indice della produzione industriale è aumentato rispetto al trimestre precedente (più 0,2). I beni di consumo durevoli crescono alla grande (più 3,8 per cento) e anche quelli strumentali (più 3,8 per cento). Gli scambi con l’estero del nostro paese crescono a ritmi importanti: più 2,5 per cento nell’area Ue, più 1,5 per cento nell’area extra Ue. Il settore delle costruzioni, dopo anni, mostra segnali di miglioramento: nel quarto trimestre del 2016, i dati sui permessi richiesti per costruire fanno segnare un aumento del numero di abitazioni nei nuovi fabbricati residenziali (+18,9 per cento la crescita tendenziale della superficie utile abitabile) e nel primo trimestre 2017 il mercato immobiliare ha fatto segnare una buona vivacità negli scambi (più 8,6 per cento la crescita tendenziale). Anche sul terreno del lavoro ci sono ottimi segnali: nel secondo trimestre del 2017 sono aumentati gli occupati dipendenti (più 0,9 per cento), sia i permanenti (più 42 mila) sia, in misura maggiore, quelli a termine (più 109 mila), e dal 2014 a oggi il numero di occupati totali in più è pari a 821 mila unità. Il tasso di occupazione delle donne (tra 15-64 anni) a giugno ha raggiunto il 48,8 per cento, che è il valore più alto dall’avvio delle serie storiche (dal 1977). Gli stessi buoni risultati si registrano sui consumi: la spesa media mensile per famiglia nel 2016 è stata di 2.524 euro, in aumento dell’1 per cento rispetto al 2015. Bene anche il settore delle auto, con immatricolazioni da sballo. Il mese di luglio ha fatto segnare un incremento del 5,9 per cento e nei primi sette mesi dell’anno le immatricolazioni sono state 1.282.353, ovvero l’8,62 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2016. Discorso simile per le banche italiane. 

 

Dovevano essere il detonatore del nostro paese e invece alla fine grazie a una buona gestione del governo (il salvataggio delle banche venete e l’operazione Mps) e grazie a una buona gestione dei privati (la capitalizzazione da record di Unicredit) dopo una lunga convalescenza, come ha riconosciuto a fine luglio persino il Wall Street Journal, “il sistema ha lasciato la terapia intensiva e ora le notizie sono buone”. E non parliamo del turismo. L’estate 2017, secondo un rapporto di Confesercenti, potrebbe permettere all’Italia di superare il tetto dei 400 milioni di notti in albergo, arrivando a un passo dalla Spagna che lo scorso anno ha fatto segnare una cifra record (454,3 milioni). In tutto, ha calcolato qualche giorno fa il Codacons, tra luglio e settembre ci saranno 33,5 milioni di italiani che andranno in vacanza, un milione e 200 mila persone in più rispetto allo scorso anno. E poi c’è la prima legge sulla Concorrenza, dopo mille giorni di attesa. C’è la gestione dell’immigrazione, che dopo molti mesi inizia a dare qualche frutto, con i migranti che per la prima volta dall’inizio dell’anno sbarcano a ritmi notevolmente inferiori rispetto al 2016.

 

Potremmo continuare per ore ma il messaggio ci sembra chiaro. In Italia le cose vanno molto meglio del previsto – per fortuna Roma non è l’Italia – e lo spettacolo prodotto da questa carrellata di buone notizie è spassoso per una serie di ragioni che vale la pena passare in rassegna. Da un lato troviamo le forze populiste impegnate a portare avanti una complicata operazione “responsabilità”, dopo aver passato anni e anni a cercare di conquistare consensi mettendo in campo esclusivamente simpatiche gare di rutti (Matteo Salvini ha addirittura detto a Silvio Berlusconi che è pronto a mollare la campagna anti euro). Dall’altra parte troviamo invece un sistema dell’informazione che di fronte alle buone notizie scopre di non essere attrezzato a raccontare con lucidità l’Italia che si muove (e se c’è qualcosa che va, ci deve essere sempre un’avversativa di fronte a ogni buona notizia) e che si accorge continuamente di trovarsi molto più a suo agio a descrivere ciò che può essere incasellato sotto la voce “emergenza”, “allarme”, “giallo”, “crisi”, a costo di spacciare per notizie vere anche le bufale.

 

Si dirà: ma che importanza ha? Chissenefrega di raccontare le buone notizie quando c’è qualcuno che non arriva a fine mese, qualcuno che non trova lavoro, qualcuno che non riesce ad andare in vacanza, qualcuno che non riesce a far funzionare l’azienda?

 

Una risposta convincente a questa domanda l’ha data un importante economista inglese di nome Max Roser. Roser lavora all’Università di Oxford ed è diventato famoso con un progetto fantastico nato per raccontare un mondo a prova di fake news. Il progetto si chiama “Our World in Data” e attraverso alcune tavole statistiche Roser spiega come va il mondo, sfidando ogni giorni i cavalieri dell’apocalisse con alcuni dati fantastici. Nell’ultimo secolo, ricorda periodicamente Roser, la povertà estrema è crollata (avvertire Di Maio), l’istruzione di base e l’alfabetizzazione sono esplose (nonostante Di Maio), la democrazia si è rapidamente diffusa in tutto il mondo (nonostante Casaleggio), la vaccinazione contro alcuni dei peggiori assassini della storia umana è diventata quasi universale (nonostante gli assessori della Raggi) e grazie a questo (avvertire Sibilia) la mortalità infantile è crollata in modo significativo. Si dirà: ok, ma perché è importante far sapere che le cose vanno meglio di quanto si creda? Roser dà una risposta convincente: semplicemente perché la maggior parte delle persone non pensa che sia così.
“Questa disconnessione – ha ricordato Roser qualche giorno fa, citando una serie di studi che attestano come negli Stati Uniti e in Europa ci sia una tendenza forte a percepire il proprio mondo molto peggiore rispetto a quello che è – sta compromettendo la nostra capacità di capire il mondo e di affrontare le sfide future dei nostri paesi”. Descrivere un mondo che non c’è porta a concentrarsi sui problemi falsi, a ignorare le questioni vere e a imporre temi secondari nell’agenda della politica. Descrivere un mondo per quello che è, invece, permette di concentrarsi sui problemi veri, di non perdere troppo tempo con le questioni secondarie e di imporre sull’agenda della politica temi importanti, seguendo i quali un paese può pensare non solo a come lamentarsi ma anche a come crescere. Non è questione di ottimismo o di pessimismo. E’ questione di realismo. Di voler scegliere da quale parte del mondo stare.

 

I populismi, si sa, entrano in difficoltà quando le emergenze fittizie vengono smascherate e quando le notizie false vengono travolte da quelle vere. E oggi che anche i campioni dei rutti iniziano ad andare goffamente in giro in doppio petto, sarebbe un peccato scoprire che, nell’estate del nostro contento, gli unici interessati a raccontare un mondo fittizio sono coloro che dovrebbero descriverci il mondo per quello che è e che invece si trovano a loro agio descrivendo solo ciò che può essere incasellato sotto la voce “emergenza”, “allarme”, “giallo”, “crisi”, a costo di spacciare per notizie vere anche le bufale.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.