Vittorio Tadei

Come sarà la moda tra 500 anni? A Rimini un'azienda ha un piano

Emmanuel Exitu

Il fast fashion di Teddy, tra business, Dio, fatturati che crescono e il pallino della formazione professionale. Il carisma di Vittorio Tadei e la scommessa vinta dei 4 figli

Rimini. Teddy è un’azienda di fast fashion che viaggia sul consolidato di 600 milioni di euro, un incremento medio annuo del 17 per cento (non è un errore), 600 negozi in 42 paesi, 4 marchi (Terranova, Calliope, Miss Miss, Rinascimento), 2.555 dipendenti e 4.000 collaboratori. Ci sono parecchie stranezze, tutte interessanti, ma in brutale sintesi si può dire che ogni relazione esterna e interna è basata sulla collaborazione, sul fare impresa assieme. La rete è un franchising “corretto” che prevede il ritiro dell’invenduto (nemmeno questo è un errore), i partner sono seguiti passo passo, i dipendenti sono coltivati per diventare i manager del futuro: una specie di declinazione romagnola dell’evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso” che ci guadagnate entrambi. Sulla formazione ci sono investimenti forti, 150 mila ore l’anno: la Retail School per chi apre un negozio e soprattutto la Corporate university TEDDY500 che ha l’obiettivo di crescere le persone, tener viva la cultura aziendale e aggiornarla al cambiamento che nel fast fashion significa una crisi ogni 4/6 mesi. Perché 500? Perché l’obiettivo è far durare l’azienda 500 anni: subito ci si chiede se scherzano o fanno sul serio. No, fanno proprio sul serio. Come? Il logo è bruttissimo, il concetto no: una zip che tiene insieme il “sogno” e il business, perché devono sempre viaggiare uniti; se si staccano, muore prima uno e poi l’altro. Il “sogno” è fare un’azienda globale “che guadagni molto per avere i mezzi per ingrandirsi, creare occupazione e impiegare una parte degli utili per aiutare i deboli attraverso opere sociali in Italia e all’estero”. (Nota: “parte degli utili” significa il 25 per cento secco, non spicci – ma se ne parla più avanti). In pratica significa mettere insieme business e solidarietà, in un’adiacenza solitamente infelice per la solidarietà (e anche per il business): eppure, lo strano matrimonio funziona. E non è che si giochi in un safe space: i competitor, per intenderci, sono H&M e Zara.

 

  

600 negozi in 42 paesi, 4 marchi (Terranove, Calliope, Miss Miss, Rinascimento), 2.555 dipendenti e 4.000 collaboratori  

Insomma, Teddy è un posto dove s’impara a sognare. E s’impara perché qualcuno insegna: chi ha trasmesso l’arte di sognare è il fondatore Vittorio Tadei, scomparso a luglio del 2016 a 82 anni. Per spiegare il suo stile imprenditoriale citava due frasi. La prima la incontrò da bambino: nel 1946 girava in bicicletta tra le macerie della sua via bombardata per vedere se nel mucchio di polveri e rovine della sua casa poteva ritrovare qualche sua cosa, un sasso lo fece cadere contro un muretto che crollò facendolo rotolare sopra un materasso di sabbia e libri dilaniati. La sua guancia atterrò sulla frase: “L’uomo non è padrone dei suoi beni, è un amministratore”. “Un padrone pensa solo al proprio interesse,” commentava. “Un amministratore invece rende conto al Socio di Maggioranza e fa in modo di crescere sempre”. Per lui, il socio di maggioranza era Dio e l’idea di avere un socio del genere gli regalò la libertà e il coraggio di fare business: e questa bomba la diceva sempre con uno stupore divertito che buttava un’occhiata oltre l’interlocutore, come se Dio fosse davvero nell’ufficio accanto a fare le sue telefonate e potesse davvero chiamarlo da un momento all’altro a rendere conto di quel che si faceva. La seconda frase la trovò su un muro di Pistoia mentre si cambiava per una gara di ciclismo: “A che serve conquistare tutto il mondo se poi perdi te stesso?”. In quel momento “non guadagnavo ancora il becco d’un quattrino, ma mi colpì: decisi di non preoccuparmi di guadagnare, ma solo di essere felice per costruire qualcosa di grande”. E con l’abilità retorica riminese che dice le cose un po’ scherzando e un po’ no, aggiungeva subito che si sentiva felice solo quando lavorava. Sarebbe molto difficile tradurre tutto in aziendalese stretto, e grazie a Dio non tocca a noi, ma dati alla mano questo stile imprenditoriale ha funzionato grandiosamente.

 

C'è una Retail School per chi apre un negozio e la Corporate university TEDDY500 per crescere le persone e tener viva la cultura aziendale

Con un carisma del genere, è facile immaginare un fallimento da manuale della seconda generazione, un massacro coi fiocchi, con tanti pianti e stridor di denti. E invece… tante stranezze anche qui. La proprietà è divisa tra i quattro figli: Emma è la direttrice di Rinascimento e presidente, Luisa è un’artista, Gigi ora è in cielo ma incassa lo stesso i dividendi, Cristiana è brand manager di Calliope. Il passaggio generazionale per lui era naturale: dalla fine degli anni Ottanta – con un bel pezzetto di mondo già conquistato – quando andava in giro a trovare fornitori e negozi, subito chiedeva: “Ma tu hai già scelto il tuo vice? A chi darai la tua azienda?”. Uno di questi a un certo punto gli rispose: “E il tuo chi è?”. Da maschilista romagnolo, avrebbe pensato al figlio maschio, ma Gigi si ammalò e Tadei fu costretto a mollare i suoi progetti. Gigi però donò a suo padre qualcosa di più che una soddisfazione dell’orgoglio, perché gli insegnò la sensibilità al dolore e ai deboli che prima non aveva (stabilì la regola – pre legge categorie protette – che per ogni cinque dipendenti ci sia “uno che ha bisogno”). E quando il figlio morì nel 2006, Vittorio creò la fondazione Gigi che possiede il 25 per cento della holding e – come dice Emma da presidente – è la cassaforte del sogno.

 

 

Due frasi hanno ispirato Tadei: “L'uomo amministra
non è padrone”
e “a che serve conquistare il mondo
se perdi te stesso?”

Rimanevano Emma e Cristiana, ma non volevano il comando. Tutte e due hanno le idee chiare e lo stesso sorriso del padre mentre le dicono: Vittorio ha sempre insegnato che bisogna trovare la propria strada e loro sentivano di avere prima di tutto la vocazione di mamme imprenditrici.

 

Tadei costruì l’impero anche grazie a una classe dirigente tostissima che scelse d’istinto, mettendo insieme competenze oggi forse lievemente sospette agli occhi di un specialista di risorse umane: un fornaio, un motociclista, un artigiano, un ragioniere e un filosofo. Li formò personalmente nell’arco di decenni e quindi per lui è naturale guardare a loro, gente con ambizioni e capacità, e per loro è naturale immaginarsi al comando. Qui capita un’altra stranezza: dicono a Vittorio di chiedere ad Alessandro, il marito di Cristiana. Faceva l’avvocato societario a Bologna e sapevano come lavorava perché la Teddy era un cliente del suo studio: “Mi sembrava una richiesta talmente assurda che prima di rifiutare valeva la pena capire cosa c’era sotto. Così ho chiesto di fare una cena con loro, ma senza Vittorio: volevo sapere come era saltato fuori il mio nome. E mi lasciano di stucco: in pratica dicono che se fanno la guerra tra loro l’azienda soffrirà, quindi hanno pensato a me. Lì ho sentito che il sogno di cui parlavano sempre era vero”. E come andò l’inizio? Alessandro ride: “Benissimo. Iniziai nel 2007: il primo giorno che metto piede in azienda arriva la Finanza e poi si scatena la crisi. Una tempesta perfetta. Vittorio era preoccupato, vedevo che cercava di proteggermi e in effetti è stato un battesimo del fuoco durissimo. Ne siamo usciti sani e salvi tutti. Ma col senno di poi è stato meglio così: la crisi accelera la formazione. Dopo un anno ero pronto, ovviamente con le mie cicatrici ma pronto: sapevo in quale mare ero, che barca avevo, dove stare, come guidare”. E la cosa più bella che ti ha insegnato? “La fiducia: un problema esiste perché esiste la soluzione e se non la trovi è perché non cerchi bene.” Lui passò il timone nel 2011: da solo, qual è stata la cosa più difficile? “Combattere la frase mortale: Vittorio diceva che. Per esempio, lui diffidava della pubblicità: d’immagine si muore, pensiamo al prodotto. Quando si è posta la necessità del marketing, c’è stata resistenza. Ma Vittorio era uno che cambiava sempre perché guardava i contesti: te devi ragionare come un matto, diceva, oggi dici una cosa, poi le cose cambiano e allora te cambi quello che dici. Aveva una coerenza ideale di fondo, ma sulle scelte concrete sparigliava.” Tutto molto bello, niente da dire. Però la parte più deliziosa rimane l’idea del piano cinquecentennale basato sull’educazione a sognare, a essere imprenditori di se stessi: “Insegnare a sognare è vitale: non riesco a immaginare Teddy senza la scuola. Esempio: abbiamo aperto un grande punto vendita a Curno, affidandolo a una 23enne formata qui. Guida 30 persone da imprenditrice vera: attiva, tenace, propositiva. Significa che ha imparato non solo la tecnica, ma lo spirito. Significa che ha imparato a sognare. Significa che ci siamo. Mi ha reso più felice che chiudere i bilanci in attivo”.

(4. continua)

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