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Idee per cambiare l'Italia

Claudio Cerasa

Contro l’Italia dell’assistenzialismo e del suicidio di cittadinanza ci sono due grandi progetti da sostenere. Primo: la flat tax (viva Panebianco). Secondo: la zero tax, niente tasse per i giovani assunti. Proposta per una battaglia giusta

In un bellissimo editoriale pubblicato ieri sul Corriere della Sera, il professor Angelo Panebianco ha messo a tema un argomento importante destinato a essere uno spartiacque nell’ambito della prossima campagna elettorale: la flat tax. La proposta di cui parla Angelo Panebianco è stata formulata dai nostri amici dell’Istituto Bruno Leoni ed è una proposta seria che, come scritto giustamente ieri dal Corriere, “darebbe una frustata così vigorosa alla nostra economia da farla ripartire al galoppo, dopo decenni di alternanza fra stagnazione, recessione e bassa crescita”. La proposta prevede una sola aliquota, pari al 25 per cento, per tutte le principali imposte del nostro sistema tributario – Irpef, Ires, Iva, sostitutiva sui redditi da attività finanziarie – andrebbe di pari passo con l’abolizione di Irap e Imu, sarebbe “temperata da interventi a sostegno delle famiglie e da un reddito minimo di povertà” e va in una direzione molto giusta che questo giornale condivide: riduzione drastica e strutturale delle tasse, semplificazione complessiva del sistema tributario, lotta all’evasione fiscale portata avanti non con operazioni spettacolari sul modello Cortina ma rendendo semplicemente meno conveniente evadere il fisco, reperimento delle risorse per il taglio ricavato da un’operazione virtuosa di vera revisione della spesa pubblica. “E’ una riforma radicale”, ha scritto con saggezza Sergio Scalpelli su questo giornale, “perché sfida il vero potere forte italiano: l’ufficio complicazione affari semplici”.

 

La flat tax proposta dal Bruno Leoni, già sostenuta dal Foglio, già rilanciata da Silvio Berlusconi, ora sostenuta anche da Angelo Panebianco e immaginiamo anche dal Corriere della Sera, è dunque una proposta che merita attenzione e che ci auguriamo possa diventare un’idea centrale sia per il programma del centrodestra sia per quello del centrosinistra per molte ragioni ma soprattutto per una: perché scommette sulla capacità di migliorare le condizioni di vita di un paese liberando le energie e non rassegnandosi alla cultura pigra e nociva dell’assistenzialismo economico.

 

La flat tax ci piace molto ma ci piacerebbe anche aggiungere a questa proposta un’altra idea ambiziosa che avrebbe l’effetto di dare un’altra frustata vigorosa alla nostra economia e che sarebbe importante discutere già in questi mesi, persino in vista della prossima legge di Stabilità. Una flat tax speciale per i giovani con aliquota zero che potremmo chiamare così: la zero tax. I dati sulla disoccupazione giovanile possono essere soggetti a molte critiche (il Foglio li ha spesso criticati, l’ultima volta lo scorso 6 aprile con uno splendido articolo di Stefano Cingolani) e oggettivamente il fatto che si consideri “inattivo” un giovane tra i 15 e i 24 anni che non lavora ma si trova all’università tende a distorcere i numeri reali.

 

Ma in mancanza di numeri certificati e più veritieri che possano sostituire quelli reali e un po’ truffaldini la situazione fotografata dall’Istat oggi è questa: in Italia il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) si trova a quota 37,8 per cento ed è il tasso più alto dell’Unione europea dopo Grecia (47,3) e Spagna (44,4) ed è quasi il doppio della media dell’Ue (18,7 per cento). A questo va aggiunto anche che la quota di persone povere nella fascia di età 18-34 anni è arrivata al 10,1 per cento nel 2016, partendo dal 2,7 per cento nel 2007, contro un aumento totale della povertà nel nostro paese, sempre negli stessi anni, che è passato dal 3,1 per cento al 7,9. Il problema naturalmente esiste (anche se in numeri meno apocalittici rispetto a quelli indicati dalle stime Istat) e per risolvere questo problema esistono due scuole di pensiero.

 

La prima scuola prevede una rassegnazione assistenzialista che si traduce con la più grande operazione di voto di scambio mai proposta da un partito politico: il reddito di cittadinanza. Ovvero: non avendo la minima idea di come creare nuovi posti di lavoro, ti chiedo un voto, a te elettore, promettendo di darti più soldi per restare a casa e non per creare migliori condizioni affinché le imprese creino un lavoro per te.

 

La seconda scuola, che è l’essenza del zero tax, prevede invece una via diversa: scommettere sulla capacità di migliorare le performance di un paese attraverso riforme che permettano all’Italia di liberare le sue energie. In questo senso, rilanciando lo spirito di successo e sacrosanto del Jobs Act (incentivi alle assunzioni per un periodo limitato), la proposta zero tax potrebbe funzionare così: zero tasse per i giovani dai 18 ai 29 anni assunti con contratti a tempo indeterminato nell’arco di due anni. Dove zero tasse vuol dire una cosa semplice: sgravio totale della contribuzione a carico del datore di lavoro per i 36 mesi a decorrere dalla data di assunzione, con possibilità per le piccole aziende di non computare le assunzioni ai fini dei limiti dimensionali delle imprese. Di questa proposta, ancora con timidezza, si è cominciato a parlare da qualche tempo nel mondo a cavallo tra la politica e le imprese (Confindustria ci sta lavorando, Silvio Berlusconi ci sta ragionando, Tommaso Nannicini ha in mente una proposta non troppo diversa per il Pd di Renzi) ed esistono già diverse stime che calcolano l’impatto economico del progetto, considerando la possibilità di assumere giovani con la formula zero tax nell’arco di due anni: 1,8 miliardi il primo anno; 5,3 miliardi il secondo anno; 7,1 miliardi il terzo anno; 5,3 miliardi il quarto anno; 1,8 miliardi il quinto anno. Concentrarsi su questa opzione sarebbe cruciale, soprattutto per il Pd, anche per sfuggire a una trappola dentro la quale rischia di cadere il centrosinistra e ovviamente il governo: considerare una priorità per il destino dei giovani più la discussione sulle future pensioni minime che la discussione sulle attuali capacità del nostro sistema produttivo di generare nuovi posti di lavoro.

 

Nelle ultime settimane i sindacati, e i politici al loro seguito, hanno dedicato molta attenzione a promuovere una scriteriata campagna per bloccare l’aumento dell’età pensionabile che scatterà automaticamente a partire dal 2019, in virtù dell’adeguamento alla speranza di vita. Lo stop all’adeguamento, secondo un calcolo del presidente dell’Inps, costerebbe all’Italia una cifra vicina ai 141 miliardi di euro, fino al 2035. Per combattere l’Italia dell’assistenzialismo forse basterebbe occuparsi un po’ meno di pensioni e un po’ più di decontribuzioni e di snellimento del sistema fiscale. La flat tax è una buona idea per far correre il paese. La zero tax è un’altra idea importante che se sostenuta con intelligenza potrebbe aiutare a fare quello che il partito del reddito di cittadinanza non riuscirà mai a fare: liberare le energie del nostro paese e provare a cambiare davvero l’Italia. Si può fare. E si può fare già da oggi. Già dalla prossima legge di Stabilità. Cosa aspettiamo?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.