Un'immagine della nuova sede di Illumia (foto Arketipo magazine)

L'energia della famiglia

Emmanuel Exitu

Ha creato Illumia, poi ha passato la mano ai figli, uniti “non nel senso del Mulino Bianco ma di Pulp Fiction”. Cosa insegna all’impresa italiana la storia di Francesco Bernardi

Che dovevo passare il timone l’ho capito in modo graduale, non è stata una caduta da cavallo. Ci sono stati input che ho ascoltato: osservare i figli che si muovono bene, sentire che gli errori costano di più perché hai meno tempo per recuperare (e poi da vecchio uno sbaglio te lo perdoni meno), vedere che l’azienda è sempre più giovane… e non avere voglia di fare il nonno! Ho voglia di altre sfide”. Francesco Bernardi ha 65 anni e guarda sempre dritto in faccia, ma senza l’aggressività dei lupi d’industria; sembra piuttosto un vecchio cacciatore, con quel tipo d’inquietudine che non diventa mai ansia e quel tipo d’attenzione che non diventa mai allarme. Trasmette desideri e trasmette pazienza. Ma senza pipponi da guru: non strabuzza gli occhi e non alza la voce. Calma e gesso: e, sotto, lava e tamburi. Così ha creato Illumia, primario player nazionale di energia, 800 mln di fatturato, 250 mila clienti, sede nuova e stupenda da 6 mila mq a risparmio energetico e basse emissioni (e come sennò?) con 300 dipendenti di età media 31 anni. E, ultimo ma non ultimo, 41 anni di matrimonio con Gabriela, totalizzando 3 figli e 10 nipoti.

 

Francesco Bernardi, capostipite e fondatore di Illumia

 

"Tutti e tre avevano
il gusto del fare, così
li ho testati lasciando man mano sempre
più prateria", spiega Francesco Bernardi

Il passaggio generazionale è stato irresistibile come un richiamo della foresta e triplice come il fischio dell’arbitro. Il richiamo del padre: “Tutti e tre avevano il gusto del fare, così li ho testati lasciando man mano sempre più prateria. Quando mi è sembrato che fossimo tutti pronti, me compreso, ho voluto che la forma coincidesse con la sostanza del lavoro, subito, e che quindi fosse loro anche la firma da mettere sotto le decisioni che ormai prendevano loro. Come padre, hai bisogno di mettere i figli in condizione di crescere. E’ un bisogno primario”. Il richiamo dell’imprenditore: “L’energia è un settore frenetico e devi esser sempre più pronto a cambiare oggi quello che facevi ieri sapendo che domani cambierai ancora. Ci vuole velocità, gioventù. Ma non sono un giovanilista, i giovani vanno guidati dalla forza vitale dell’esperienza. Ma il mio inseguimento del futuro è più breve del loro: ora c’è bisogno della loro energia. Oggi intervengo su domanda”. (Non ci credo neanche se lo vedo. Bernardi ride: “No, è vero, la gestione è tutta loro.” Dopo chiedo ai tuoi figli… interrogatori separati però: “Vedrai che è così”.) Il richiamo di se stesso: “Lavoro da più di 40 anni, da prima della laurea, ma non ho fatto il passaggio perché mi sono stufato. Ho sentito che mi stavo sedendo e se hai un po’ di vivacità ti ribelli. Così ho voluto chiudere, in modo anche veloce. E pensando al mio futuro, non avevo voglia di vivere di dividendi, voglio vivere del mio lavoro: con un amico ho fatto Emotional Experience, una start up che si occupa di cultura, turismo e tecnologia cominciando con la mostra immersiva VivaVivaldi a Venezia”. In bocca al lupo. “Crepi. Sta andando bene”. E gli amici imprenditori, tutti coetanei, come hanno preso il tuo approccio on-off? “Malissimo. Non si capacitavano che mollassi non perché fossi malato o morente o stufo, ma solo perché pensavo fosse giusto per i miei figli, per me e l’azienda. Va bene il passaggio, dicono, ma graduale. Magari è la deformazione professionale di chi lavora nell’energia, ma avevo bisogno di una discontinuità marcata e veloce”.

 

“Ci vuole velocità, gioventù. Ma non sono un giovanilista, i giovani vanno guidati dalla forza vitale dell'esperienza”, dice il fondatore

Questa dell’energia è una fissa, come ci sei finito dentro? “Mi è sempre piaciuta, mi sono laureato a metà anni 70 in Ingegneria Nucleare, poi mia moglie è diventata maestra di ruolo a Bologna e mi sono radicato. Allora bazzicavo la sinistra Dc, un ambiente persuaso al midollo che il mondo si salva con progetti ben fatti. Il dio di questa visione era Andreatta. Così ho fondato uno studio di ingegneria fortissimo sulla pianificazione. Dopo vent’anni ho capito che la fase progettuale è importantissima e, insieme, serve quasi a niente: non cambi il mondo se prima non cambi il cuore, innanzitutto il tuo”. Bernardi è massiccio e in forma, si muove fluido come un marciatore in gara, anche tricologicamente avvantaggiato da una testa di capelli bianca e folta, barba corta. Emana energia (ok, si confessa: non si è potuto resistere alla tentazione di scrivere la banalità per uno che si occupa di energia), ma non sputa scintille né sentenze, non scoppietta con l’ego; trasmette calma e tenacia, tipo enzima perpetuo che attiva processi biochimici specifici. L’unica interferenza in questo flusso d’energia si avverte solo nel racconto di questo immenso amore per la pianificazione che l’ha tradito nel peggiore dei modi: “Vinsi l’appalto di una gigantesca ricerca che doveva rispondere a questa domanda: il bacino del Po sarà sufficiente a sostenere la produzione agricola sempre più intensiva della Pianura padana? Facemmo un lavoro meraviglioso, studiammo tutto quello che c’era da studiare: 12 volumi spettacolari, pubblicati dal Mulino. Ero orgoglioso. La risposta era sì, con i suggerimenti per prevenire possibili criticità. Sai a cosa è servito?” No. “A niente. Nessuno l’ha letto, nessuno ha fatto niente”. Così sei tornato al primo amore. “Volevo fare qualcosa che servisse, mi piaceva l’idea di trasformare i rifiuti in energia”. E dopo un’esperienza al ministero e una società con partner svizzeri, arriva Illumia piantata manco a farla apposta di fronte alla stazione dell’Alta Velocità. La sede è un cubo enorme e stupendo in vetro e travertino che mischia il respiro di Piacentini al ricordo dei portici bolognesi – quelli moderni, però, squadrati come in via Marconi (architetti tedeschi). Dentro, un sacco d’aria e luce. E anche un sacco di gente. Cosa fa tutta ’sta gente qua dentro? “Sono più produttivo se ho relazione con tante persone. L’imprenditore è uno che ha la curiosità di vedere cosa c’è in cima alla montagna – e poi ne vede altre e allora va ancora, e poi ancora e ancora. Ci sono quelli a cui piace andare in pochi, ok lo capisco. Ma a me piace andare in mille. E sono capace di portare tutti in cima, convincendo e rincuorando”.

 

Marco Bernardi, l'attuale presidente di Illumia 

  

La sede è un cubo enorme in vetro
e travertino che mischia il respiro di Piacentini
al ricordo
dei portici bolognesi
(quelli moderni)

Passiamo agli interrogatori separati con i figli. Ora la guida è il triumvirato tra Marco, il più grande che fa il presidente, Matteo che fa il ceo e Giulia a capo delle risorse umane (che non c’è perché ha appena concluso la produzione “in house” di una risorsa umana: il decimo nipote). Marco somiglia molto al padre, soprattutto ne possiede lo stesso vantaggio tricologico, ma è più irrequieto, infatti è quello che in famiglia ha srazzato: l’unico che invece di fare ingegneria ha fatto economia. “Quando ho cominciato a lavorare dovevo levarmi un dubbio: farò carriera perché sono bravo o perché sono un privilegiato? Così sono andato a New York con moglie e figli per lavorare in un hedge fund. Ho avuto la mie risposte”. Tipo? “Che ci so fare e so prendermi rischi e responsabilità: quando ho detto che tornavo in Italia mi hanno corteggiato tanto, e ho avuto la conferma che ho fatto un buon lavoro”. E perché sei rientrato? “Mia moglie ha trovato un posto da neonatologa al Sant’Orsola, un’eccellenza che non si poteva rifiutare… Ma ho avuto un’altra risposta, che non m’aspettavo”. Quale? “Io posso essere bravo, ho una propensione al rischio alta e so gestirla, ma di fronte a mio padre spesso sembro Bambi. Di solito s’insegna che la propensione al rischio è proporzionale alla capacità di analisi, ma questo è solo il 10 per cento del lavoro: il 90 per cento è coraggio che viene dalla fiducia. Lì ho capito: questo 90 per cento è mio padre”. E con i fratelli? “Uniti, molto. In modo granitico. Sì, però non nel senso del Mulino Bianco, direi più da Pulp Fiction”. Matteo è il ceo, è più alto e bello anche se con minore vantaggio tricologico, e in un film di Tarantino ci starebbe giusto giusto. Ascolta, pensa, soppesa, guarda, considera: poi spara. “Quando ci ha detto che voleva fare il passaggio, non ci ho creduto finché non è successo. La sua visione è sempre stata Francesco-centrica, era il motore, non perdeva colpi, non è vecchio e non ha il temperamento del nonnetto che non vede l’ora di portare i nipotini al parco”. Poi invece l’ha fatto: “Non è stata una necessità, potevamo andare avanti così altri 10 anni, abbiamo sempre messo le mani in pasta ovunque”. Il parafulmine era lui però: “Mi hanno colpito le sue motivazioni: si è immedesimato in noi, dicendo che alla nostra età era responsabile di tutto e che dovevamo firmare. Lì ho sentito che aveva una fiducia incondizionata in noi”.

 

 

Illumia, player primario nazionale di energia: 800 milioni di fatturato, 250 mila clienti, 300 dipendenti (età media 31 anni)

L’hai mai visto in crisi? Matteo guarda dritto in faccia come suo padre, pensando; un lungo scanning nella memoria di figlio. E la faccia che fa, non si capisce perché, ci fa arroventare dall’invidia. Poi si capisce: “L’ho visto preoccupato e affaticato. Ma non l’ho mai visto spaventato. Mai significa mai: era sempre sicuro che prima o poi un bene sarebbe saltato fuori”. E con tuo fratello? Lui dice che siete uniti, ma se c’è bisogno si fanno scintille: “Sì, soprattutto ora che il passaggio è appena fatto. Essere uniti non significa non avere contrasti”. E non avere contrasti non significa essere uniti. “Sì. Uniti, ma siamo liberi di…” cerca la parola: “…di essere liberi”. L’invidia ci arroventa sempre più. Ma se non vi mettete d’accordo? “Si va da Francesco. Oggi il punto d’equilibrio è lui”. Ok, ma quando domani Re Salomone non ci sarà più? “Domani l’unità sarà sul bene dell’azienda. Su questo è stato durissimo ma fondamentale il percorso fatto con Beyond International specializzata in consulenza direzionale e change management: prima ci ha aiutato a prendere coscienza dei nostri valori, poi a svilupparli in una cultura aziendale e infine a “tradurla” nella pratica del lavoro quotidiano, coltivando le competenze in azione con una formazione continua per noi e per tutti i dirigenti di prima e seconda linea”. E com’è andata? “Una fatica pazzesca, ma ripagata. Ha portato a galla i valori trasmessi da nostro padre che prima erano sotterranei o impliciti: conoscenza, velocità, coraggio, bellezza, fiducia e gratuità”. Qui a malincuore si stoppa il racconto, perché almeno su fiducia e gratuità si vorrebbe approfondire (e magari si farà con apposita indagine: davvero servono nel business? come? non è fuffa? perché?), e a gamba tesa si torna brutali al tema: come hai vissuto l’essere figlio del padrone? “Un vantaggio, ma lo paghi perché pesa. Ho fatto una scelta diversa da Marco, ma dal primo giorno che sono entrato volevo dimostrare di avere i numeri”. Forse è stato anche più difficile. “Non lo so. Ma ora che abbiamo dimostrato che sappiamo lavorare, l’esigenza è cambiata: vogliamo meritarci quello che nostro padre ci ha messo a disposizione”. Che poi è l’unico modo per godersi davvero un’eredità, parafrasando il divin Goethe ma sempre a gamba tesa: sudarsela con tutta la pelle. (3. continua)