Serve una rivoluzione del mercato del lavoro: ce lo chiedono i robot

Antonio Grizzuti

Per gli esperti, l'impatto dell'automazione sulla forza lavoro sarà negativo se non si prenderanno politiche adeguate. Il rapporto Pew/Elon University

Tra le numerose critiche che vengono mosse a Barack Obama vi è quella di aver lasciato al successore Donald Trump numerosi cerini accesi. Uno di essi è senza dubbio la questione riguardante la grande trasformazione del mercato del lavoro, in particolare le ricadute occupazionali legate al peso crescente dell’automazione. Sulla carta il precedente inquilino della Casa Bianca ha lasciato un mercato del lavoro in buona salute, con un tasso di disoccupazione che, dopo aver raggiunto addirittura la doppia cifra nel 2009, è tornato ai livelli pre-crisi (4,4 per cento ad aprile 2017). Tuttavia le ombre non mancano: il tasso di occupazione è ancora ben lontano da quello del decennio precedente, e il numero dei lavoratori “scoraggiati” rimane alto. In occasione del farewell speech l’ex presidente ha dedicato solamente un cenno alla problematica, ammettendo che “la prossima ondata di problemi per il mercato del lavoro non arriverà da oltreoceano” ma “dall’inarrestabile progressione dell’automazione, che già oggi rende obsolete molte professioni della classe media”. 

 

Sarà per questo motivo che, forse un po’ tardivamente, la Casa Bianca ha commissionato ad una task force di esperti il rapporto Preparing for the Future of Artificial Intelligence, reso pubblico nell’ottobre scorso quando la campagna elettorale era ormai agli sgoccioli. “Una delle principali conseguenze dell’automazione – si legge nel testo – è il suo impatto (negativo) su determinati lavori e settori” e la capacità di “azzerare o ridurre fortemente i salari di alcuni lavori”, motivo per cui – consigliano gli esperti – l’ufficio del Presidente farebbe bene a “monitorare gli effetti dell’automazione dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro, adottando politiche adeguate”.

 

In realtà questo studio non aggiunge nulla di nuovo al dibattito in corso sull’impatto delle nuove tecnologie nel mercato del lavoro: da anni gli esperti si interrogano sulle possibili conseguenze della “ascesa delle macchine” cercando di prevederne aspetti positivi e negativi. Il rapporto The Future of Jobs and Jobs Training, appena pubblicato dal think tank Pew Research Center in collaborazione con la Elon University si colloca in questa direzione, offrendo spunti originali per la discussione. Millequattrocento tra esperti, addetti del settore e accademici hanno espresso le proprie aspettative e preoccupazioni a partire da cinque differenti panel. Obiettivo della ricerca è descrivere un sentiment, più che pretendere di dare una risposta definitiva alle problematiche messe a tema.

 

Alla domanda “ritiene che rappresenti un’emergenza l’attivazione di nuovi piani formativi destinati a un grande numero di lavoratori per insegnare loro le abilità di cui avranno bisogno per i lavori del futuro?”, sette su dieci hanno risposto in maniera affermativa. Ma una volta tanto, ciò che colpisce sono i commenti degli intervistati, che mostrano come la coscienza della necessità di mettersi al passo con la grande rivoluzione in atto del mercato del lavoro stia gradualmente prendendo piede.
Per l’imprenditrice Jennifer Zickerman “il problema del lavoro nel futuro non riguarda la formazione, ma la diminuzione del lavoro stesso”. Jonathan Grudin, ricercatore per Microsoft, è più ottimista: “Saranno le persone a creare il lavoro del futuro”, mentre Charlie Firestone, vice presidente dell’Aspen Institute, afferma che “la perdita di posti di lavoro dovuta all’intelligenza artificiale e alla robotica eccederà ogni tentativo di formare i lavoratori, almeno nel breve periodo”. Un intervistato che ha preferito rimanere anonimo chiede provocatoriamente: «Seriamente? Ci state facendo domande sulla forza lavoro del futuro? Siamo sicuri che ce ne sarà una?”.

 

Una cosa è certa: se il mercato del lavoro non si farà trovare pronto – sostiene il rapporto – sarà il capitalismo per come lo conosciamo oggi a passare brutti guai.

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