Il grande divario Atlantico dell'energia

Redazione

L’Opec rivela la supremazia americana e la flemma europea

La decisione presa a Vienna da parte dei produttori appartenenti al cartello petrolifero dell’Opec e di quelli non Opec – tra i quali rientra la Russia – per un’estensione di altri nove mesi (quindi sino a dicembre) dei tagli alla produzione rappresenta un nulla di fatto. Tale risultato aumenta l’incidenza degli Stati Uniti sull’arena internazionale per aumentare a dismisura le capacità di export legate all’industria estrattiva americana dello shale gas e del tight oil. Due sono le recenti mosse del presidente Donald Trump che hanno spaventato l’Opec. La prima è la proposta della Casa Bianca di iniziare a vendere la metà delle riserve strategiche di petrolio americane dall’ottobre prossimo, per raccogliere 16,5 miliardi di dollari di risorse. Le riserve strategiche ammontano a 688 milioni di barili – la maggiore quantità disponibile al mondo – e anche ipotizzando di impiegare dieci anni per dimezzarle ciò equivarrebbe a vendere almeno 95 mila barili al giorno, pari all’1 per cento dell’attuale produzione petrolifera americana. La seconda mossa, invece, riguarda l’accordo bilaterale che gli Stati Uniti hanno raggiunto con la Cina per l’export di gas attraverso l’Henry Hub (uno dei principali snodi commerciali di distribuzione di shale negli Stati Uniti), in occasione dell’incontro fra Trump e il presidente cinese Xi Jinping. Il tutto mentre l’Europa rischia di perdere posizioni nei confronti dei principali player energetici per assolvere a un’ideologia pseudoambientalista sullo sviluppo delle rinnovabili (peraltro perseguita spesso solo a parole viste le resistenze tedesche a cedere sul carbone) che non vuole fare i conti con la realtà e con i futuri scenari energetici che vedono gli idrocarburi quale fonte ancora fondamentale almeno per i prossimi trent’anni.

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