Il primo ministro portoghese António Costa (foto LaPresse)

Modello Portogallo

Carlo Cottarelli

La sinistra tornata al potere non fa danni e non stravolge il piano di risanamento. E i risultati si vedono

Visto che questa settimana tutti parlano e scrivono di Francia, ho deciso di scrivere qualcosa sul Portogallo, ma con una considerazione finale su Macron e l’Unione europea. Lo spunto me l’ha dato un articolo di Federico Rampini pubblicato su D, il settimanale di Repubblica, sabato 27 aprile, con il titolo “Lisbona disobbedisce alla Troika e vince”. L’articolo sostiene che “il Portogallo fu uno dei paesi più duramente colpiti dalla crisi economica: dovette chiedere aiuto alla cosiddetta Troika (Commissione, Bce, Fondo monetario) e quella impose la solita cura demenziale a base di feroci tagli su salari e pensioni. Due anni fa la sinistra vinse le elezioni e cominciò la terapia inversa, sfidando Berlino e Bruxelles. L’economia è ripartita, l’euforia è percepibile”. Io sono un ammiratore di Rampini, uno dei migliori giornalisti e saggisti italiani, ma qui mi sembra che non abbia capito quello che il governo portoghese sta facendo, né quello che l’Europa ha chiesto e chiede al Portogallo.

 

Nei dieci anni precedenti la crisi economica globale del 2008-’09, il Portogallo mantenne un deficit dei conti con l’estero (importazioni meno esportazioni) tra il 7 e il 12 per cento del pil, con un enorme accumulo di debito estero. Il debito pubblico era pure cresciuto nello stesso periodo e nel 2010 il deficit pubblico aveva superato l’11 per cento del pil. In queste condizioni, una stretta sui conti pubblici, per quanto dolorosa, era inevitabile. Che alternativa c’era? L’Europa (e il Fmi) finanziarono il Portogallo quando più nessuno voleva investire soldi in questo paese, ma in cambio di una correzione dei conti pubblici e di riforme strutturali. Una volta terminato il programma di aggiustamento, e una volta tornata la sinistra al potere, alcuni aspetti delle politiche economiche sono cambiati, ma non c’è stato alcuno stravolgimento delle politiche introdotte durante il programma sostenuto dai finanziamenti della Troika. 

Incluso quanto riguarda il rafforzamento dei conti pubblici (ovvero le politiche di “austerità”). Nel 2016 il deficit pubblico è sceso da circa il 3 per cento del pil nell’anno precedente (4,4 per cento includendo le spese per la ricapitalizzazione delle banche) a circa il 2 per cento del pil.

 

Questo risultato, un miglioramento di un punto percentuale, non è stato dovuto a un boom di entrate per effetto della crescita economica (il pil portoghese è cresciuto dell’1,4 per cento nel 2016, non tantissimo per un paese come il Portogallo), ma a un attento controllo della spesa, compresa una spending review avviata l’anno scorso. Come direttore esecutivo, rappresento al Consiglio del Fondo monetario anche il Portogallo e qualche mese fa, durante l’ultima riunione del Consiglio sul Portogallo, ho dichiarato, seguendo le indicazioni del governo, che “il governo portoghese conferma il suo fermo impegno a formulare e implementare politiche economiche e fiscali che promuovano una crescita sostenuta ed equa, in un contesto di consolidamento fiscale”. Riguardo le politiche fiscali per il 2017, aggiungevo: “Il bilancio dello stato… promuove un sostenuto aggiustamento fiscale… del tutto in linea con i piani del governo e con i suoi impegni internazionali. Per raggiungere questi obiettivi, la strategia comprende cinque principali elementi: (i) uno stretto controllo della spesa, con la continuazione della spending review iniziata nel 2016 (focalizzata inizialmente sulla spesa sanitaria, sulla spesa per la Pubblica istruzione, sugli acquisti di beni e servizi, e sulle imprese pubbliche) …”. Insomma, una strategia di consolidamento fiscale basata su un controllo della spesa pubblica eliminando gli sprechi, come necessario in un paese con un debito pubblico vicino al 133 per cento del pil (come l’Italia).

 

L’economia portoghese sta ora crescendo a un passo soddisfacente. Uno dei motivi è il recupero di competitività attraverso la riduzione dei costi del lavoro per unità di prodotto, riduzione che ha fatto crescere rapidamente le esportazioni e il turismo. In termini di costo del lavoro per unità di prodotto il Portogallo ha interamente chiuso il divario rispetto alla Germania che si era aperto tra il 2000 e il 2008 (la Spagna ha più o meno fatto lo stesso, e sta crescendo al 3 per cento l’anno). Quindi, niente stravolgimento delle politiche passate, politiche imposte non dalla Troika, ma dalle necessità di un paese troppo indebitato.

 

La rotta che segnerà Macron

A discolpa di Rampini, bisogna riconoscere che la Commissione e il Fondo monetario sono stati lenti a capire che le politiche del governo portoghese non rappresentavano un fondamentale cambiamento di rotta, alimentando la leggenda che il ritorno della sinistra al potere avesse comportato un rigetto di tutte le politiche introdotte negli ultimi anni. Forse preoccupati dal cambiamento di colore politico del governo (“la sinistra al potere!”), Commissione e Fondo hanno inizialmente manifestato preoccupazioni soprattutto per l’andamento dei conti pubblici. Sono state smentite dai fatti, per fortuna.
Ultima considerazione su Macron e l’Europa. C’è chi pensa che l’arrivo di Macron possa portare a un cambiamento di rotta riguardo la gestione delle politiche fiscali in Europa. Spero questo avverrà rispetto alla necessità di creare un bilancio centrale europeo che possa gestire in modo unitario certe politiche di spesa e di tassazione. Ho scritto più volte in passato che il buon funzionamento dell’area dell’euro richiede un bilancio centrale più forte. Ma non cambierà l’atteggiamento nei confronti dei deficit e del debito dei singoli paesi. Macron non si è mai scagliato contro l’austerità “imposta da Bruxelles”. Il suo programma comprende la riduzione quest’anno del deficit al di sotto del 3 per cento, una continua riduzione negli anni seguenti e un taglio della spesa di 60 miliardi di euro, come necessario per un paese con livelli di tassazione, spesa pubblica e debito pubblico che restano tra i più alti al mondo.