Marine Le Pen (foto LaPresse)

La tortuosa via degli estremisti francesi per lasciare l'Europa

Alberto Brambilla

Gli imprenditori schiaffeggiano i "pifferai" Le Pen e Mélenchon. Ma ecco come potrebbero realizzare l'imponderabile, forse

Roma. La comunità degli affari francese è preoccupata da un’eventuale vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali di domenica da parte di Marine Le Pen, estrema destra, o di Jean-Luc Mélenchon, estrema sinistra. Per usare l’espressione del candidato liberal-conservatore François Fillon, colpito da scandali personali durante la campagna elettorale, è difficile che i francesi votino “per un marxista rivoluzionario o una donna dell’estrema destra che vuole uscire dall’euro”. Tuttavia duecento imprenditori francesi in un articolo sul Monde di questa settimana hanno rotto il tradizionale silenzio pre elettorale per chiedere alla popolazione di non votare chi vende “illusioni, false promesse e regalie impossibili”.

 

Sia Le Pen sia Mélenchon, appunto, promettono di portare fuori dall’Unione europea e dall’euro la Francia che, oltre a essere paese fondatore, ha funzione di raccordo tra i paesi del nord e quelli del sud del continente. Il primo punto del manifesto presentato dal Front national (Fn), partito nazional-protezionista di Le Pen premiato dai sondaggi, è restituire la sovranità “monetaria, legislativa, territoriale ed economica” al “popolo francese” – ovvero sia l’uscita dall’Unione europea sia dall’area euro, la cosiddetta “Frexit”, per la quale tuttavia non esiste una procedura legale definita. Le Pen non ha detto che in caso di vittoria alle presidenziali indirà immediatamente un referendum. Prima intende promuovere un negoziato tra i paesi membri dell’Unione europea per riformare le istituzioni dall’interno e promuovere una nuova architettura “rispettosa dell’indipendenza francese e della sovranità delle altre nazioni”.

 

Secondo gli analisti finanziari, un referendum sulla permanenza della Francia nell’Ue potrebbe essere chiamato a sei mesi dalla vittoria al secondo turno (il 7 maggio) e avrebbe bisogno dell’appoggio del Parlamento. La decisione di lasciare l’Ue richiede una riforma della Costituzione con il cambiamento dell’articolo 88-1 (e seguenti, dove vengono regolati i rapporti tra stato e istituzioni comunitarie) nel quale si afferma che la Francia “partecipa alle Comunità europee e all’Unione europea, costituite da stati che hanno liberamente scelto, in virtù dei trattati che le hanno istituite, di esercitare in comune alcune delle proprie competenze”. Una revisione costituzionale, in base all’articolo 89, richiede un identico voto da entrambe le camere, l’Assemblea nazionale e il Senato, espressione degli enti locali, seguito da un referendum. Senza l’approvazione a maggioranza dell’Assemblea e del Senato un referendum è improbabile.

 

La maggioranza all’Assemblea è tutt’altro che certa visto che le elezioni legislative con sistema a doppio turno in ciascun collegio si terranno l’11 e il 18 giugno. Mentre la maggioranza al Senato per il Fn è impossibile nell’immediato perché il 24 settembre si voterà per il rinnovo di 170 seggi su 348 e il partito di Le Pen occupa al momento soltanto 2 seggi. C’è scarso spazio di manovra, ma Le Pen potrebbe scegliere le vie brevi. L’articolo 11 della Costituzione consente modifiche della Carta proponendo un cambiamento nell’organizzazione dei poteri pubblici da sottoporre a referendum. E’ lo stesso metodo usato a fine anni Sessanta per riformare Senato e comunità locali da Charles De Gaulle, che fu poi sconfitto e si dimise. Le Pen avrebbe bisogno dell’appoggio del 20 per cento dei parlamentari. Senza l’appoggio del Senato dovrebbe avere quello del 32 per cento dell’Assemblea – il che non è scontato. In caso di successo servono dieci mesi per dare tempo alla Corte costituzionale di verificare che almeno il 10 per cento dei cittadini con diritto di voto sostiene il referendum proposto. In alternativa il presidente potrebbe invocare l’articolo 16 della Costituzione e assumere poteri straordinari se teme che la “indipendenza della nazione” sia in pericolo reale e immediato – e per un “sovranista” l’indipendenza è impedita dall’esistenza stessa dell’Ue. Significa che se Le Pen arriverà all’Eliseo rappresenterebbe una minaccia permanente per l’Europa così com’è oggi finché sarà al potere. Tanto basta per mandare in fibrillazione mercati, banche e imprese.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.