L'economia italiana non deve temere le aggregazioni. Oltre il caso Consip

Carlo Cottarelli

Ragioni per difendere le centrali d’acquisto dall’assalto di chi sogna un’Italia governata dagli sprechi

Aboliamo i supermercati! Danneggiano i piccoli commercianti, e quindi il nostro tessuto economico che è fatto di piccoli imprenditori. Sono un oligopolio e quindi portano a prezzi più alti per chi compra. Se diventassi segretario del Pd, eliminerei i supermercati”. No, non ha proprio detto così il governatore Michele Emiliano in una recente intervista a Porta a Porta. Ma ha detto qualcosa di molto simile. Ha detto che, secondo lui, le centrali di acquisto per la pubblica amministrazione vanno abolite perché danneggiano le piccole imprese, favoriscono gli oligopoli e quindi fanno aumentare i prezzi di acquisto per la pubblica amministrazione. Ora, lungi da me di entrare nel dibattito delle primarie del Pd. Ho molto rispetto per il governatore Emiliano e per quello che ha fatto in Puglia. Ma ho trovato il suo attacco frontale alle centrali d’acquisto inappropriato perché basato su argomenti un po’ superficiali. 

  

Certo, non do segno di grande tempismo nel difendere le centrali di acquisto in un momento in cui la Consip, la principale centrale italiana, è travagliata da un’inchiesta per questioni di corruzione. Ma mi sento in dovere di farlo anche perché la riforma degli acquisti della pubblica amministrazione – con la creazione di una trentina di centrali d’acquisto che, nel tempo e per gli acquisti al di sopra di una certa soglia, rimpiazzeranno le 34.000 stazioni appaltanti esistenti in Italia – l’ho promossa io quando ero Commissario per la revisione della spesa. Mi sento quindi in parte responsabile, anche se l’implementazione e’ stata fatta da altri. E poi so che gli argomenti usati da Emiliano sono spesso usati dai altri che ancora non sono convinti che la centralizzazione degli acquisti sia una buona cosa per la pubblica amministrazione.

 

L’idea alla base della riforma degli acquisti della PA, una delle poche riforme strutturali della spesa pubblica attuata negli ultimi anni, è che comprare attraverso le centrali d’acquisto fa risparmiare soldi per quattro motivi. Primo: comprare all’ingrosso fa risparmiare, lo dice il senso comune. Secondo: far fare gare di appalto a gente specializzata, piuttosto che agli impiegati di 34.000 centri d’acquisto, è più efficiente. Terzo: riducendo il numero delle gare si riducono i costi amministrativi (ogni gara costa decine di migliaia di euro). Quarto: è più facile effettuare controlli, e quindi evitare la corruzione, se, invece di controllare, 34.000 acquirenti, ne devo controllare 30. Il fatto che ora si indaghi sulla Consip in fondo dimostra proprio questo. Non so quale sarà l’esito dell’indagine in corso, ma è certo più facile fare pochi controlli su grandi operazioni piuttosto che tantissimi controlli su una miriade di piccole operazioni (anche nella lotta alla corruzione ci sono quelle che gli economisti chiamano “economie di scale”).

 

Tutto sommato, quindi, non dovrebbe sorprendere se, negli altri paesi avanzati, gli acquisti della pubblica amministrazione sono gestiti in modo più centralizzato di quanto sia avvenuto finora in Italia. Né dovrebbe sorprendere se l’Istat ci dice che gli acquisti tramite centrali d‘acquisto costano di solito molto meno degli acquisti fatti indipendentemente (fino al 55 per cento di meno per certe merceologie; si veda qui).

  

Perché dunque ancora tanta opposizione alla riforma? Per tanti motivi, alcuni buoni, altri meno. I motivi buoni: ci sono molti bravi amministratori di enti locali che riescono a comprare a prezzi più bassi di quelli delle centrali d’acquisto. Inoltre, mi dicono, anche se non l’ho verificato, che alcune modalità di implementazione della riforma introducono delle complessità e delle rigidità non necessarie nella gestione degli acquisti. Direi a chi sostiene questo di avere un po’ di pazienza. Il sistema è nuovo e, proprio per questo, viene introdotto gradualmente, cioè allargando di anno in anno le merceologie coperte dagli acquisti centralizzati. Credo però che sarebbe utile ascoltare la voce degli amministratori locali per migliorare il sistema (se non lo si fa, lo si dovrebbe fare). Passiamo ai motivi meno buoni. C’è chi sostiene che la riforma crea oligopoli perché solo i grandi venditori possono vendere all’ingrosso alla pubblica amministrazione e che quindi la riforma comporta l’estinzione di quel tessuto di piccole e medie imprese di cui l’economia italiana è composta. Qui non posso che riprendere l’esempio da cui sono partito. Se prendiamo questo argomento per valido, allora dovremo chiudere i supermercati perché danneggiano i piccoli negozianti e riducono la concorrenza. Ma chiaramente non è così. E’ chiaro che, con la nascita dei supermercati, lo spazio per i piccoli commercianti si è ridotto, anche se per fortuna non sono completamente scomparsi. Ma questo ha comportato una riduzione dei prezzi d’acquisto, non un loro aumento. Altrimenti perché la gente andrebbe al supermercato? Il fatto è che non è necessario avere 1.000 competitori per avere concorrenza, basta che i competitori non colludano (e se colludono ci devono pensare l’antitrust e la magistratura). E’ vero però che le piccole imprese potrebbero soffrire se venissero offerti lotti molto grandi. Ma cosa impedisce alle piccole imprese di aggregarsi? Un po’ di aggregazione non farebbe male all’economia italiana. Io credo nelle piccole imprese, ma forse ne abbiamo un po’ troppe in Italia (noi italiani siamo individualisti). Sono tanti anni che diciamo che uno dei principali problemi dell’economia italiana è l’eccessiva frammentazione del suo tessuto produttivo. Incoraggiare un po’ di aggregazione ci può far bene.

 

Come sono tanti anni che diciamo che è insensato far gestire gli acquisti della pubblica amministrazione da decine di migliaia di centrali d’acquisto sparse in tutt’Italia, col risultato che il prezzo della siringa non è lo stesso da Cosenza a Trento. Ora stiamo provando a riformare il sistema. Non è una riforma facile e, come ho scritto a pagina 38 del mio libro “La lista della spesa” (Feltrinelli, 2015), “i saranno quindi resistenze”. Ma è la strada giusta da percorrere, con buon senso e ascoltando chi, dal territorio, ci dice come il sistema possa essere migliorato.

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