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Delfini dispettosi e sostenibilità ambientale. A Malta si scrive il futuro della pesca

Giancarlo Salemi

Da una parte le specie da proteggere, dall'altra una categoria, quella di chi vive del pescato quotidiano che è sempre più in crisi. L'esempio del caso Eolie

L'ultimo summit fu il 26 novembre del 2003 a Venezia. Quattordici anni fa i ministri dell'Unione Europea lanciarono un patto che coinvolgeva oltre il Vecchio Continente anche i paesi della sponda sud del Mediterraneo per la creazione di zone di protezione per la conservazione, il controllo delle attività di pesca e la lotta a quella illegale. Un'altra epoca: Commissario all'Agricoltura era Franz Fischler, un super burocrate che veniva dall'Austria, stato europeo che notoriamente non ha sbocchi sul mare, e i pescatori erano oltre 200mila e si contavano più di 80mila pescherecci (oggi si sono ridotti quasi della metà). Si stabilirono regole per salvaguardare specie altamente migratrici come il tonno, il pesce spada, la sardina e l'acciuga.

 

Ieri e oggi a Malta sotto la regia del Commissario all'Ambiente Karmenu Vella tornano a riunirsi 16 ministri dell'Unione e insieme i Paesi del Nord e del Sud del bacino, che rappresentano oltre l'80% delle flotte, cercheranno di convergere su una nuova dichiarazione per una strategia di sostenibilità ambientale e sociale per la pesca nel Mediterraneo. Ma non è semplice. Da una parte ci sono le specie da proteggere, dall'altra una categoria, quella di chi vive del pescato quotidiano che è sempre più in crisi.

 

Basta pensare a quello che sta accadendo nelle Isole Eolie proprio in questi giorni. Un centinaio di delfini, secondo i calcoli di Monica Blasi, biologa e presidente della Filicudi WildLife Conservation, l'associazione che li protegge, hanno messo in crisi 250 piccoli pescatori locali che quando tornano a riva dopo la notte passata sulle loro imbarcazioni trovano le reti vuote, o quasi. La causa sono proprio i delfini che fanno sì la gioia dei turisti, ma stanno mandato in tilt chi vive di pesca. Affamati, in un mare sempre più povero di pesci, i cetacei si piazzano in branco attorno alle barche e bucano le reti mangiandosi il pescato, in prevalenza totani.

 

Come uscire da questa trappola? È la strada che dovrà essere indicata a Malta. La riforma della Politica Comune della Pesca europea, introdotta nel 2013, prevede che gli stock ittici debbano essere notevolmente ridotti: entro il 2020 i paesi costieri dovranno conseguire la tutela del 10% del Mar Mediterraneo, in linea con gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e della Convenzione internazionale sulla biodiversità. I dubbi sono tanti. Perché le regole vengono dalla stessa Unione che per due anni ha tenuto sotto scacco i nostri pescatori sulle dimensioni minime delle vongole per essere pescate (Bruxelles aveva fissato a 22 millimetri il loro diametro mettendo in crisi soprattutto le aziende che operano nell’Adriatico dove le vongole, anche quelle perfettamente mature, raggiungono una dimensione massima di 22 millimetri di diametro, così per due anni non sono state raccolte e vendute perché era illegale per i tecnici europei).

 

Eppure il settore ittico dell'Ue è ancora il quarto al mondo per importanza e fornisce ogni anno circa 6,4 milioni di tonnellate di pesce. Un'Europa che possiede il numero più elevato di porti commerciali al mondo (1200) e la flotta mercantile più grande in assoluto. Il 90% degli scambi con i paesi extra UE e il 40% degli scambi all’interno dell’Unione, tra l'altro, si svolgono via mare, per un valore di quasi 500 miliardi di euro all'anno. Le cose semmai vanno male in casa nostra: dalla dichiarazione di Venezia del 2003 su 8mila chilometri di coste, le imbarcazioni sono diminuite del 33%, a Mazara del Vallo i pescherecci d'altura da 400 sono scesi a poco meno di 80 e si sono persi 18mila posti in un settore che oggi occupa 27mila persone.

 

Dell'importanza della posta in gioco che verrà decisa a Malta ne sono consapevoli anche i nostri pescatori. La pesca illegale infatti provoca il depauperamento degli stock ittici, distrugge gli habitat marini, crea distorsioni nella concorrenza, pone in una condizione di svantaggio i pescatori onesti e indebolisce le comunità costiere.

 

MedReAct, l'organizzazione che promuove azioni di recupero della biodiversità marina nel Mediterraneo, ha già stilato le aree marine, almeno nove, per salvaguardare gli ecosistemi iniziando dall’Adriatico centrale con la Fossa di Pomo gravemente impattata dalla pesca a strascico alle montagne sottomarine della Sicilia settentrionale; dal Canyon di Alicante all'isola di Alborán fino alle acquee del Mar di Tracia. Si vedrà. A partire dal summit di Malta. Sperando in un nuovo patto che salvi il Mare Nostrum ma anche i pescatori.

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