foto LaPresse

Per le piccole startup Facebook è come uno "schiacciasassi"

Alberto Brambilla

"Facebook si mostra come una compagnia molto ‘cool’ e amichevole verso le startup, ma quando c’è una buona idea da qualche parte nel mondo, se ne appropria e opprime altre piccole realtà". Due storie da Italia e Francia

Roma. Tra le piccole startup sta emergendo malcontento per il comportamento di Facebook nei loro confronti. Lo testimoniano due storie da Italia e Francia raccolte dal Foglio.

 

Nel 2014, l’imprenditore francese Frank-David Cohen è stato tra gli inventori dell’app “Room”, una compagnia americana registrata in Delaware, come molte altre startup, che permette di creare dei mini-social network tra differenti gruppi (“famiglia”, “amici”, “colleghi”, ecc.) per chi usa lo smartphone. La funzione è invero diventata molto popolare con i servizi di messaggistica come WhatsApp. Tuttavia un mese dopo il lancio di “Room”, nell’ottobre 2014, Facebook lancia la sua applicazione “Rooms” con identiche funzioni e Cohen sostiene che l’idea è stata di fatto copiata, come dice al Foglio. Cohen ha compiuto l’ingenuità di esporre a una decina di investitori il business-plan completo inviandolo loro via e-mail senza tutelarsi legalmente. Il sospetto di Cohen, che è stato finanziato per 150 mila dollari da conoscenti e famigliari, è che la presenza di un ex executive di Facebook tra gli investitori sondati sia stata fatale. Negli Stati Uniti ha provato a raggiungere un accordo pecuniario, ma Facebook ha rifiutato. Il nocciolo della questione non sta però nel sospetto plagio ma nell’uso dell’idea in relazione al nome dell’app da parte del social network fondato da Mark Zuckerberg e della battaglia legale conseguente. Per difendersi, Cohen ha registrato il marchio “Room” in Europa presso la European union intellectual property office (Euipo) e Facebook s’è opposta alla registrazione durante i tre mesi di tempo che la legge prevede. L’opposizione è stata rigettata. In seguito Facebook ha fatto richiesta presso Euipo di invalidare il marchio “room” in quanto parola d’uso comune e dunque non nelle esclusive disponibilità di alcuno. Anche quest’ultima richiesta è stata rigettata dalla Divisione cancellazioni di Euipo il 23 settembre 2016. Facebook farà appello.

 

“Facebook – dice Cohen da Parigi – si mostra alla moltitudine come una compagnia molto ‘cool’ e amichevole verso le startup, ma quando c’è una buona idea da qualche parte nel mondo, se ne appropria e opprime altre piccole realtà. Fa l’opposto di quanto dice. Non verificano se un’applicazione è già disponibile, se un marchio già esiste, e siccome hanno maggiori disponibilità economiche sono così forti da combattere a oltranza nei tribunali contro imprese molto meno danarose, come noi che abbiamo ricevuto finanziamenti da amici e nostri cari”.

In Italia, Facebook è stata giudicata per la prima volta responsabile di aver violato il diritto d’autore: il tribunale di Milano ha dato ragione alla piccola software house milanese Business Competence con sentenza di primo grado risalente al 1° agosto. Facebook, hanno stabilito i giudici – il Foglio lo aveva scritto lo scorso 1° marzo – ha replicato l’app italiana Faround quattro mesi dopo il lancio con una sua app chiamata Nearby dalle funzioni identiche. Cohen dice che non ha intenzione di citare in giudizio Facebook a Milano: non potrebbe sostenere economicamente una causa legale e quindi preferisce continuare a concentrarsi sulla sua app ora indirizzata al settore scolastico e chiamata KlassRoom. Il caso francese e quello italiano sono accomunati dal modus operandi del social network più popolare del mondo che produce ricavi superiori ai 27 miliardi di dollari nel 2016 ed è diventato il “migliore amico” di Wall Street, come l’ha definito il Financial Times, dov’è la sesta compagnia per capitalizzazione di Borsa (402 miliardi), perché occupa lo spazio dei piccoli sviluppatori indipendenti. Altri contenziosi legali sono noti, di solito Facebook propone una transazione comprando le applicazioni oggetto di disputa.

 

Nel caso francese e in quello italiano non si è giunti a un compromesso, ma si è aperta una breccia legale nella condotta verso le startup digitali da parte del social newtork di Zuckerberg che, leggenda narra, nacque dal sapiente sviluppo di un’idea altrui. Un proverbio anglosassone dice che “le macchie del leopardo non cambiano mai”.

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.