Cosa insegna a Intesa l'uscita ordinata di Kraft dai mega-deal

Alberto Brambilla

Dopo i rumor Buffett abbandona l’acquisizione di Unilever con trasparenza. Il contrario dell’assalto “maionese” alle Generali

Roma. Kraft-Heinz, colosso alimentare americano, ha lasciato cadere la proposta di acquisto da 143 miliardi di dollari sulla rivale anglo-olandese Unilever nella serata di domenica a soli due giorni da una fuga di notizie che rivelava la trattativa. Kraft, sostenuta dalla 3G di Warren Buffett e Jorge Paulo Lemann, non era pronta a lanciare un’offerta abbastanza lusinghiera per i soci principali di Unilever e sperava di continuare il negoziato in modo amichevole e riservato. Ma l’uscita di indiscrezioni non avrebbe aiutato a trovare un accordo che quindi è stato messo da parte. L’abbandono di un deal tra due aziende quotate in Borsa di così straordinaria importanza, con trasparenza e tempi rapidi di comunicazione al mercato, può insegnare qualcosa ai manager di Intesa Sanpaolo, che nelle settimane scorse avevano lasciato correre a lungo i rumor (21 gennaio, la Stampa) su una potenziale acquisizione di Assicurazioni Generali, da portare avanti insieme alla sua rivale tedesca Allianz, salvo poi derubricare l’ipotesi a “case study”, secondo una dichiarazione dell’ad Carlo Messina agli analisti (3 febbraio) – un “caso di studio”, come se la prima banca italiana fosse diventata una business school nel giro di quindici giorni.

 

All’indomani dei primi rumor, i top manager di Generali non riuscivano ad avere risposte dai loro omologhi di Intesa, contattati al telefono, e hanno preferito difendersi comprando il 3 per cento delle azioni della banca milanese per evitare un attacco, o per costringerla a un’offerta sulla maggioranza del capitale (senza nemmeno volere considerare un accordo che avrebbe potuto dare valore ai loro azionisti, se adeguatamente negoziato). La posizione dell’assicurazione con sede a Trieste non pare cambiata da allora. Venerdì, rispondendo ai giornalisti, il presidente di Generali, Gabriele Galateri, ha parlato di possibili collaborazioni – rifiutando dunque una ipotesi di scambio o acquisto di azioni – e al contempo ha fatto dichiarazioni minacciose invocando immediate regole sulla manipolazione dei mercati finanziari (market abuse) per effetto delle quali gli investitori possono subire le scelte di chi può approfittare di informazioni riservate in esclusiva. L’operazione Intesa-Generali, per la quale c’è stata una convocazione in Consob, difettava appunto di trasparenza. Ad esempio, in assenza di comunicazioni ufficiali, il Messaggero del 25 gennaio riferiva di un incontro presso la sede di Torino della Compagnia di Sanpaolo, la fondazione primo azionista singolo di Intesa, durante il quale l’ad Messina, accompagnato dal presidente Gian Maria Gros-Pietro, “avrebbe fatto riferimento” a un’operazione di offerta di scambio a 19 euro per azione.

 

I rumor hanno tenuto la Borsa sulle spine. L’opacità di comunicazione non è una novità. A maggio il titolo Unicredit viaggiò sulle montagne russe quando non si capiva chi avrebbe dovuto sostituire l’ex ad Federico Ghizzoni e se l’unica banca di rilevanza sistemica globale in Italia avrebbe dovuto chiamare un aumento di capitale, come poi ha fatto il nuovo ad Jean Pierre Mustier con la ricapitalizzazione più grande nella storia italiana (20 miliardi) da chiudere a maggio. Tuttavia i vertici di Intesa non hanno dato un buon esempio di come si conduce un’operazione di fusione di rango europeo – peraltro inusuale per una banca tradizionalmente interessata a piccole aziende del risparmio gestito e non a grandi compagnie assicurative – dalla quale era forse preferibile dileguarsi prima che diventasse una “maionese” mediatica, come ha fatto la multinazionale americana nota per le salse. Una parola chiara è meglio della confusione per conservare intatta la reputazione. 

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.