Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan (Foto LaPresse)

Matteo Renzi ha veramente abbassato le tasse?

Lorenzo Borga

Fact checking su uno dei cavalli di battaglia del governo. L'ex premier ha ragione, le imposte sono diminuite come non accadeva da anni. Eppure la pressione fiscale resta alta

Tra italiani e tasse non è mai stato vero amore, al massimo una friendzone negli anni in cui venivano definite “bellissime” da un ex ministro dell’Economia. Non poche infatti sono state le campagne elettorali vinte grazie alla promessa di abbassarle: come dimenticare il colpo di scena finale di Silvio Berlusconi nel 2006 con la promessa di abolire l’ICI?

 

Anche Matteo Renzi ne ha fatto un cavallo di battaglia della sua azione di governo, come ha ricordato alla direzione del Partito Democratico di lunedì. Il 18 luglio 2015 promise di “fare un impegno di riduzione delle tasse che non ha paragoni nella storia repubblicana di questo paese” senza aumentare il debito pubblico. Ahinoi sappiamo che il debito non è affatto sceso, anzi; ma almeno le tasse? Le misure le conosciamo: bonus di 10 miliardi alla classe media, taglio dell’Irap, abolizione dell’Imu, taglio dell’Ires. Le promesse appaiono effettivamente mantenute, nonostante l’aumento dell’aliquota sui rendimenti dei fondi pensione deciso nel 2014 e l’aggravio burocratico ed economico sulle partite IVA da tempo denunciato dal commentatore Oscar Giannino. Sugli effetti concreti invece il dibattito politico non è mai giunto ad un punto definitivo, con il centrodestra ed in particolare Renato Brunetta che ha frequentemente contestato il racconto governativo. Ma si sa, la politica è in gran parte narrazione: vediamo dunque i numeri.

 

Lo strumento più idoneo per farlo è la pressione fiscale, vale a dire il rapporto fra la somma di imposte dirette, imposte indirette – sia dello stato centrale che degli enti locali – e contributi sociali ed il Pil. Spesso tuttavia per quantificare il prelievo pubblico dall’economia vengono presi in considerazione i valori assoluti del gettito fiscale, cioè quanti miliardi di euro effettivi sono stati pagati dai cittadini sotto forma di tasse. Nulla di più sbagliato, in quanto tali dati nominali vengono influenzati dall’inflazione e dalla crescita del paese che più sarà sostenuta, più causerà un aumento del gettito fiscale.

Osserviamo dunque l’andamento della pressione fiscale. Non è particolarmente facile orientarsi fra i dati del Ministero dell’Economia e quelli dell’Istat, per due ragioni. La prima è che essendo la pressione fiscale il risultato di un rapporto con al denominatore il Pil – il cui valore è spesso rivisto anche a distanza di anni – è abbastanza variabile nel tempo. La seconda, emersa solo dal 2014, è legata al bonus 80 euro: la riduzione di 10 miliardi voluta da Renzi è percepita da tutti come una riduzione delle tasse, ma è in realtà conteggiata come aumento di spesa. Gli 80 euro sono a livello tecnico un credito di imposta sull’Irpef destinato ai lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi, destinati quindi a una categoria specifica e non all’intera platea dei contribuenti. Perciò, ogni qual volta che si intenda misurare la pressione fiscale sarebbe dunque necessario farlo al netto del bonus 80 euro: il Ministero dell’Economia – anche per ragioni di comunicazione – ha scelto questa via, a differenza dell’Istat che è rimasta fedele ai principi (in questo caso non così adatti) della contabilità.

 

Ebbene, secondo l’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza del settembre scorso la pressione fiscale nel 2013 – anno di inizio della legislatura – misurava il 43,6 per cento della ricchezza del paese. Nel 2014, conteggiando l’effetto degli 80 euro, si è ridotta al 43,1 e nel 2015 al 42,8. La stima per il 2016, il dato non è ancora definitivo, è che si raggiunga il 42,1 per cento, per una riduzione totale di un punto e mezzo in quattro anni. Anche Istat certifica un trend in discesa nel suo ultimo comunicato sul tema (attenzione però, le percentuali dei trimestri non sono significative poiché le scadenze fiscali non sono equamente distribuite durante l’anno).

 

Matteo Renzi sembra dunque aver ragione: le tasse sono diminuite. Ma davvero “nessun governo ha fatto quanto” il suo governo “sulle tassecome scrisse più volte nelle sue Enews? Se la stima per il 2016 venisse confermata sarebbe effettivamente difficile trovare un paragone negli ultimi due decenni, se non negli anni 1993-1994, a cavallo fra il governo Ciampi ed il Berlusconi I, quando la pressione fiscale si ridusse dell’1,1 per cento in soli dodici mesi. Seppure la riduzione portata avanti dal governo Renzi sia stata importante, il livello di tassazione è ancora tuttavia elevato rispetto agli anni pre-crisi: il governo Berlusconi II riuscì ad esempio a portare la pressione fiscale ad uno dei livelli più bassi degli ultimi decenni, vicino al 40 per cento. Percentuali al di sopra di questo livello, a cui siamo abituati da anni, li riscontriamo in realtà solamente a partire dagli anni ’90, in particolare dal 1992, proprio l’anno in cui il nostro debito pubblico sfondò quota cento punti e raggiunse le tre cifre. Scopriamo così un’amara verità: per ridurre drasticamente la pressione fiscale vi è probabilmente una sola via. Ridurre il nostro debito abnorme.

 

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