Sergio Marchionne (foto LaPresse)

Perché il 2017 sarà l'anno della mutazione dell'Auto mondiale e di Fiat

Renzo Rosati

I colpi di Trump in Messico e il futuro di Marchionne

Roma. Proprio mentre il mercato dell’Auto in Italia archivia un 2016 in crescita del 15,9 per cento, performance migliore d’Europa, e la produzione negli stabilimenti italiani di Fiat Chrysler Automobiles (Fca) s’attesta a 1.011.136 veicoli, livello che riporta al 2008 e segna un aumento del 70 per cento in quattro anni, intorno al modello fin qui vincente di Sergio Marchionne, e sullo stesso futuro del supermanager, inizia ad aleggiare qualche incertezza. La più attuale discende dalle esternazioni pre-insediamento di Donald Trump negli Stati Uniti: il futuro presidente ha preso di mira la General Motors (Gm) a causa della Chevrolet Cruze, berlina compatta fabbricata in Messico e che, secondo The Donald, viene importata esentasse negli Stati Uniti grazie al Nafta, l’accordo di libero commercio che include anche il Canada – bersaglio della campagna elettorale. Gm ha risposto che la Cruze messicana è destinata solo al mercato locale, ma la Ford ha giocato d’anticipo annunciando la cancellazione di un investimento di 1,6 miliardi di dollari per raddoppiare lo stabilimento in Messico di Hermosillo, dedicato alla Focus. Invece si investiranno 700 mila dollari e si assumeranno 700 dipendenti nel Michigan per Suv elettrici e ibridi.

 

Si tratta di un settore dove Fca è indietro, nonostante che il salone automobilistico americano si sia spostato da Detroit a Las Vegas, con al centro appunto i veicoli hi-tech. Ma la domanda è: dopo le due big toccherà alla Chrysler, che in Messico ha due siti produttivi (Saltillo e Toluca, da quest’ultimo escono anche le Fiat Freemont e le 500 per il mercato americano)? E che ne sarà delle Jeep Renegade che hanno saturato la produzione di Melfi, esportate in America, contribuendo in modo determinante al boom dell’export del sud Italia (più 10,6 per cento) e in particolare della Basilicata (più 76,6)? Seconda incertezza, che negli sviluppi può intrecciarsi con la prima: a fine 2018, al compimento del piano quinquennale, Marchionne ha annunciato che lascerà Fca. Per la verità lo scorso anno ha anche precisato che potrebbe restare “se me lo chiederanno”. Ma da Exor, la holding degli eredi Agnelli, non sono finora giunti segnali in questo senso. Anzi, John Elkann, presidente e amministratore delegato di Exor e presidente di Fca, ha detto che dopo Marchionne si guarderà all’interno.

 

Lo screzio, se mai c’è stato, non è venuto in superficie, e tuttavia non è un mistero che molto ruota intorno al mega-accordo inseguito fin qui invano da Marchionne, e che invece la famiglia concepisce in modo diverso. Dopo avere individuato bersagli minori, il top manager transnazionale ha puntato proprio su Gm, public company definita “esposta ai fondi hedge”. Nella visione di Marchionne sarebbe stato lui a guidare quello che sarebbe divenuto il maggior gruppo mondiale, mentre Mary Barra, la 55enne ceo di Gm, ha respinto seccamente queste avances. Ma tra un anno gli azionisti di Fca potrebbero avere voglia di sedersi al tavolo, stavolta per cedere a Gm le attività generaliste dell’Auto, cioè Fiat e Chrysler (che ha al proprio interno anche Jeep), scorporando il settore sport e premium, ovvero l’Alfa Romeo. 

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