Aumentano i voucher: più 32,3 per cento rispetto al 2015

Redazione

I dati diffusi oggi dall'Inps. Ma i buoni lavoro non sono il demonio, bensì uno strumento utile e sano per le Pmi

Nel periodo gennaio-ottobre 2016 sono stati venduti 121,5 milioni di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, con un incremento, rispetto ai primi dieci mesi del 2015, pari al 32,3 per cento. I dati diffusi dall'Inps nell'Osservatorio sul precariato, ricordando che nei primi dieci mesi del 2015, la crescita dell'utilizzo dei voucher, rispetto al 2014, era stata pari al 67,6 per cento. Ripubblichiamo un editoriale di sabato 17 dicembre, in difesa dei buoni lavoro. 

 


 

Nessuno tocchi i voucher. Dice la vulgata che i buoni lavoro sono il cavallo di Troia della precarizzazione. Invece, il loro successo (109,6 milioni di buoni nei primi nove mesi del 2016, il 34,6 per cento in più dell’anno precedente) riflette la volontà di utilizzare lavoro regolare, se solo è possibile farlo a condizioni compatibili con il loro modello di business. Non è un caso se i buoni lavoro sono utilizzati soprattutto in settori quali il commercio, il turismo, i lavori domestici e il giardinaggio, dove prima proliferava il lavoro nero. L’idea di poter cancellare tutto questo con un tratto di penna tradisce un pregiudizio e un’illusione: il pregiudizio che l’unica forma di occupazione “degna” sia quella all’interno della grande impresa manifatturiera, e l’illusione che, fissando ex lege quel modello organizzativo, il mondo si aggiusterà di conseguenza.

 

Purtroppo per gli aspiranti demiurghi, il 99 per cento delle imprese italiane ha meno di cinquanta addetti (il 95 per cento addirittura meno di dieci) e queste danno lavoro al 51 per cento del totale degli occupati. Il grosso del mercato del lavoro, insomma, sta proprio in quella fascia che non è strutturalmente in grado di seguire i diktat epifanian-speranzian-grillin-salvinian-camussiani. E’ possibile che dei voucher si sia abusato: le recenti modifiche per aumentarne trasparenza e tracciabilità sono una risposta seria. Ma sempre più la linea del Piave è quella tra chi vuole gettare l’acqua sporca degli abusi salvando il bambino dell’occupazione flessibile ma regolare, e chi invece per furia ideologica vuole preservare la purezza delle forme anche al costo di scoperchiare il vaso di Pandora del lavoro sommerso. No grazie.

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