Un sostenitore del M5s (foto LaPresse)

Movimento 5 Subprime

Luciano Capone

I grillini vogliono nazionalizzare Mps e farne una banca del popolo. Ah sì? Prendiamoli sul serio

Roma. Era previsto per ieri il flash mob del Movimento 5 stelle sulla vicenda Monte Paschi, i big del partito si erano dati appuntamento in mattinata per partire insieme alla volta di Siena, ma a causa di uno spiacevole imprevisto – l’arresto di Raffaele Marra, dirigente comunale e braccio destro del sindaco di Roma Virginia Raggi – i vertici hanno optato per una manifestazione low profile e il pullman con i parlamentari non è più partito. Ma flash mob a parte, il Movimento la sua versione per risolvere la crisi dell’istituto senese l’aveva già data il giorno precedente.

 

“La banca è stata depredata dal Partito democratico per oliare le clientele e i meccanismi del consenso – ha detto il M5s – E’ stata usata a fini privati e politici”. E in effetti la crisi della terza banca italiana, oltre che dalle contemporanee e consistenti conseguenze della lunga e profonda recessione, deriva dal controllo della politica e dall’erogazione del credito secondo criteri relazionali più che di merito. La proposta dei grillini pertanto è la nazionalizzazione di Mps in deficit – senza considerare i vincoli europei e senza temere possibili procedure d’infrazione per aiuto di stato – per trasformarla in una banca pubblica al “servizio del popolo”, che eroga prestiti a cittadini e imprese che non possono offrire garanzie. Il M5s non vuole solo che Mps continui a fare tutto ciò che l’ha portata a un passo dal collasso ma che lo faccia su vasta scala e con in più la garanzia statale, ovvero la certezza che i debiti verranno ripagati dai contribuenti. Si tratta in pratica della trasformazione del Monte dei Paschi di Siena in Monte dei Paschi Subprime, come vengono definiti i prestiti ad alto rischio.

 

L’idea del M5s non è originalissima, ma è una brutta copia del modello che ha portato alla crisi dei mutui subprime in America e che a sua volta ha innescato la crisi finanziaria. A partire dal 1999 i governi americani, prima sotto la presidenza Clinton e poi sotto quella Bush, avviarono programmi per favorire l’accesso alla proprietà degli immobili, spingendo Fannie Mae e Freddie Mac, due grandi agenzie formalmente private ma con un esplicito supporto governativo, a erogare mutui anche ai cittadini che non avevano sufficienti garanzie. La strategia che venne presentata come il modo più semplice per garantire “una casa a tutti”, cominciò a far aumentare in modo significativo l’erogazione di mutui subprime, ovvero ad alto rischio, in pratica prestiti concessi a clienti che in condizioni normali non avrebbero ottenuto credito perché senza garanzie. Naturalmente, come sempre, le buone intenzioni non sono sufficienti per fare buone leggi, anzi, spesso producono effetti controproducenti. In poco tempo la promozione pubblica e le favorevoli condizioni spinsero milioni di americani a indebitarsi e le banche a prestare soldi senza fare troppa attenzione alle capacità di rimborso dei clienti: venivano erogati mutui a chiunque addirittura superiori al valore degli immobili.

 

Così la politica abitativa, pensata per offrire credito alle fasce medio-basse della società, fece salire velocemente e costantemente i prezzi delle abitazioni, generando gigantesca bolla immobiliare gonfiata da una politica monetaria accomodante. Quando poi il castello di carte è crollato, Fannie e Freddie – i due colossi che nel 2008 garantivano la metà dei mutui americani – sono falliti, il governo è dovuto intervenire con 200 miliardi di dollari per ripianare i buchi. Come nel caso della “sovranità monetaria” sventolata come la bacchetta magica che rimetterà a posto l’economia, pare che anche le soluzioni proposte dal M5s per mettere a posto il sistema bancario non facciano i conti con la realtà e con le lezioni degli ultimi anni. I problemi sono tanti, ma un Monte dei Paschi Subprime non è una soluzione per nessuno di essi. Anzi. 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali