Il trilemma di Rodrik che inchioda l'Unione europea e l'euro

Marco Valerio Lo Prete
Il "trilemma" dell'economista di origine turche Dani Rodrik “dice che la democrazia, la sovranità nazionale e l’integrazione economica globale sono reciprocamente incompatibili: possiamo combinare due fra le tre cose, ma mai averle tutte e tre allo stesso tempo e in maniera compiuta”. Lezioni per l'integrazione europea (e ripensamenti)

    Oggi, come ogni lunedì, è andata in onda "Oikonomia", la mia rubrica settimanale su Radio Radicale. Qui potete trovare l'audio della puntata, di seguito invece il testo.

     

    Dani Rodrik è professore di Economia politica internazionale ad Harvard. Economista turco, discendente di una famiglia di ebrei sefarditi, è noto tra le altre cose per il suo “teorema dell’impossibilità” nell’economia globale, anche detto “trilemma dell’economia globale”, che oggi torna potenzialmente utile per interpretare lo stallo in cui si trova l’Unione europea, tra postumi della Brexit e rinnovate tensioni tra nord e sud dell’Eurozona.

     

    Rodrik iniziò a riflettere sul trilemma dell’impossibilità nel 2000, poi nel 2007 ne diede una definizione stringata: il trilemma “dice che la democrazia, la sovranità nazionale e l’integrazione economica globale sono reciprocamente incompatibili: possiamo combinare due fra le tre cose, ma mai averle tutte e tre allo stesso tempo e in maniera compiuta”. Per capire perché, si osservi che “una profonda integrazione economica richiede che noi eliminiamo tutti i costi di transazione che operatori commerciali e finanziari affrontano nei loro affari transfrontalieri. Gli stati nazione sono un fonte importante di questi costi di transazione. Essi generano rischio sovrano, creano discontinuità regolatorie a ogni confine, prevengono una regolamentazione e una supervisione globale degli intermediari finanziari, e fanno di un prestatore di ultima istanza globale un sogno impossibile. Il malfunzionamento del sistema globale finanziario è intimamente legato a questi specifici costi di transazione”.  

     

    Che fare, dunque? Secondo Rodrik, “un’opzione è quella di perseguire un federalismo globale, in cui allineare la portata della politica democratica con quella dei mercati globali. Realisticamente, però, ciò è qualcosa che non si può fare su scala planetaria. E’ già piuttosto difficile farlo tra paesi relativamente simili, come dimostra il caso dell’Unione europea”. “Un’altra opzione è quella di mantenere lo Stato nazionale ma di renderlo reattivo soltanto alle necessità dell’economia internazionale. Si tratterebbe dunque di uno stato che persegue l’integrazione economica globale a discapito di altri obiettivi domestici. Il periodo del gold standard del diciannovesimo secolo fornisce esempi storici di questo modello. Poi il collasso dell’esperimento di convertibilità in Argentina negli anni 90 dà un’illustrazione contemporanea della incompatibilità implicita di questo modello con la democrazia”. “Infine, possiamo rivedere al ribasso le nostre ambizioni rispetto a quanta integrazione economica internazionale potremmo o dovremmo raggiungere. Così perseguiamo una versione limitata della globalizzazione, in fondo simile a quella stabilita nel regime di Bretton Woods successivo alla Seconda guerra mondiale, con controlli sui capitali e liberalizzazione del commercio limitata. Sfortunatamente questa versione limitata è diventata vittima del suo proprio successo, abbiamo dimenticato il compromesso che era implicito in quel sistema e che era la fonte del suo successo”. In estrema sintesi, “ogni riforma del sistema economico internazionale si scontra con questo trilemma. Se vogliamo far progredire la globalizzazione dobbiamo rinunciare o allo Stato-nazione o alla democrazia politica – scrive Rodrik – Se vogliamo difendere ed estendere la democrazia, dovremo scegliere fra lo Stato-nazione e l’integrazione economica internazionale. E se vogliamo conservare lo Stato-nazione e l’autodeterminazione dovremo scegliere fra potenziare la democrazia e potenziare la globalizzazione. Far finta che possiamo avere tutte e tre le cose allo stesso tempo ci lascia sospesi in una terra di nessuno piuttosto instabile”.

     

    Rodrik, nelle scorse settimane, ha detto di vedere il suo trilemma all’opera anche nel dibattito sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Ha iniziato considerando alcune delle tesi dei fautori della Brexit, in particolare il potere legislativo di una burocrazia non eletta e la troppo ampia autorità della Corte europea di giustizia sulle scelte politiche nazionali. Senza entrare nel merito dell’efficacia di questo assetto, Rodrik ha scritto che è “è evidente che le regole dell’Unione europea necessarie per puntellare un mercato unico europeo si sono estese ben oltre ciò che può essere sostenuto dalla legittimità democratica”.

     

    “Quando nel 2000 concepii questo trilemma dell’economia globale, vedevo l’Ue come la sola parte dell’economia mondiale che avrebbe potuto combinare con successo una forma di iper globalizzazione (cioè il mercato unico) con la democrazia, attraverso la creazione di un demos e di un ordinamento politico propriamente europei. In maniera più cauta, ho espresso lo stesso punto di vista in un mio libro del 2011, ‘The Globalization Paradox’. Ma oggi devo ammettere che questa mia visione, o forse speranza, era erronea. Il modo in cui la Germania e la sua cancelliera Angela Merkel hanno reagito alla crisi in Grecia e in altri paesi indebitati ha seppellito ogni chance di una Europa democratica. La Merkel avrebbe potuto presentare la crisi come nata dall’interdipendenza, dicendo ‘abbiamo tutti contribuito a farla nascere, siamo tutti coinvolti’, usandola come un’opportunità per fare un balzo in avanti in quanto a maggiore integrazione politica. Invece la Merkel ha ridotto questa crisi a una questione morale, mettendo i nordici responsabili contro i meridionali pigri e spendaccioni, una crisi da gestire attraverso dei tecnocrati europei che non rispondessero a nessuno”.

     

    Conclusione di Rodrik: “I turchi della mia generazione hanno guardato all’Unione europea come a un faro di democrazia e come a un esempio da emulare. Mi intristisce molto che oggi l’Ue sia sinonimo di un tipo di potere legislativo e governance così antitetico alla democrazia”. Va notato che il trilemma di Rodrik è la versione più “politica” di un altro trilemma che a lungo ha fatto discutere gli economisti. Ma di questo parlerò nella prossima puntata.