Il declino del contratto in Europa, sotto i colpi della legislazione invasiva

Carlo Lottieri
Secondo Leoni nel mondo del lavoro i rapporti non sono più retti dai contratti, poiché la legislazione impone soluzioni che favoriscono una parte e danneggiano l’altra. Schröder però comprese che quando non si può interrompere un rapporto di lavoro, assumere dipendenti diventa un’operazione rischiosa.

A parole tutti sono favorevoli all’eguaglianza di fronte alla legge, all’idea – cruciale per la rule of law – che chiunque dovrebbe essere giudicato allo stesso modo per il medesimo comportamento. Oltre a ciò, ben pochi sono contrari alla possibilità di sottoscrivere contratti, poiché la facoltà di negoziare sembra essere un tratto specifico delle società basate su libertà e responsabilità. Nei fatti, però, le cose sono più complicate. In un passo di “Freedom and the Law” di Bruno Leoni si evidenzia come l’esistenza stessa del diritto amministrativo di tipo continentale metta in difficoltà la sopravvivenza della rule of law. E’ infatti una palese negazione dei princìpi giuridici fondamentali che lo stato pretenda un diritto separato e si sottragga al giudizio di tribunali ordinari. Sullo sfondo di tale riflessione, ovviamente, c’è l’imporsi della sovranità moderna, dato che tutta la costruzione dello stato si regge sulla tesi secondo cui qualcuno (e solo “qualcuno”) ha il diritto di obbligare, mentre qualcun altro (ma solo “qualcun altro”) ha il dovere di obbedire. E’ chiaro come la distinzione tra governanti e governati annulli il senso stesso dell’eguaglianza di fronte al diritto.

 

Nella parte conclusiva del brano Leoni introduce poi un’interessante analogia tra la spaccatura che oggi separa il diritto amministrativo e il diritto civile, da un lato, e le fratture interne al diritto civile. In particolare, egli ricorda come da tempo ci si trovi a fare i conti con ordinamenti giuridici che trattano diversamente, discriminano, favoriscono, penalizzano. Cos’è successo? Quando per esempio evoca l’esistenza di un diritto per i dipendenti e di uno per le imprese (o di uno per i proprietari e uno per gli inquilini), Leoni ci sta dicendo che nel mondo del lavoro i rapporti non sono più retti dai contratti, poiché la legislazione impone soluzioni che favoriscono una parte e danneggiano l’altra. Quello che ne discende è il declino del contratto. In primo luogo, perché la legislazione gestisce ciò che tradizionalmente era affidato ad accordi tra le parti; e in secondo luogo perché anche quando abbiamo contratti, in troppi casi una parte può esigerne la piena applicazione e l’altra no, o può anche ottenere che sia accettata una qualche sua inadempienza.

 

Un attore – il ceto politico – che già era riuscito a sfuggire alla regola dell’eguaglianza di fronte alla legge, si è poi candidato a giocare la funzione di “tutore” dei soggetti deboli, con il risultato che una quota crescente delle relazioni sociali è stata sottratta alle logiche della negoziazione. Ovviamente, questa terza parte non è un protettore disinteressato e nel corso del tempo ha costruito un potere crescente su tutta la società, che non soltanto ha minato il diritto e svuotato la proprietà (su cui poggia la stessa libertà negoziale), ma ha progressivamente danneggiato anche quanti diceva di tutelare. Quando si negano proprietà e contratto, si generano una serie di “effetti non voluti”. Se ad esempio ci si chiede per quale motivo la maggioranza rosso-verde di Gerhard Schröder votò la liberalizzazione del mercato del lavoro, la risposta è che essa saggiamente comprese che quando non si può interrompere un rapporto di lavoro (quando un’assunzione si fa più indissolubile di un matrimonio), assumere dipendenti diventa un’operazione rischiosa. Ogni volta che si nega la libertà contrattuale “proteggendo” i lavoratori, quella che ne risulta è una maggiore disoccupazione. La saggezza di Schröder, però, non è moneta corrente. Spesso si ammette in astratto la libertà negoziale, ma poi si aggiunge che un contratto può svolgersi realmente solo tra soggetti “sullo stesso piano”, “di analoga forza” e via dicendo. Una cultura nutrita di egualitarismo crede che ci sia violenza e ingiustizia nel fatto che qualcuno molto ricco faccia un contratto con qualcuno molto povero, anche se nessuno costringe il secondo.

 

La società liberale del rule of law, essenzialmente basata sulle obbligazioni contrattuali, è quindi dissolta dal mito del “potere economico” e dall’illusione che si possa ovviare a ciò consegnando tutto nelle mani di legislatori, giudici e burocrati. Quella ne risulta è una rifeudalizzazione della società: la rivincita dello status sul contratto (per ricordare le categorie di Henry Sumner Maine), in una logica top-down che unisce paternalismo e dirigismo. La regolazione prende così il posto dell’autoregolazione, la redistribuzione svuota la proprietà, e il rischio di dissolvere le basi della prosperità si fa sempre più concreto.
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