Matteo Renzi durante l'incontro con Jean Claude Juncker a Roma (foto LaPresse)

Contrastare l'aumento della spesa per rispettare i cittadini (e crescere)

Carlo Lottieri
Il lassismo fiscale non garantisce sviluppo. Il caso italiano è ancora qui a dimostrarlo. Riflessioni a margine del Superindice dell’Istituto Bruno Leoni a cura di Nicola Rossi e Paolo Belardinelli

Le tensioni di questi mesi tra il governo Renzi e Bruxelles possono essere lette in vari modi. In un certo senso è legittimo sostenere che società differenti (con problemi diversi da affrontare) dovrebbero adottare anche strategie disomogenee per fronteggiare la crisi. Non c’è dubbio che un ordine giuridico confacente alla Germania può non essere opportuno in Grecia o in Italia.

 

Eppure è ormai chiaro che oggi il cuore della questione non sia lì, perché almeno alcuni dei vincoli che l’Europa ha cercato di imporre all’Italia hanno una loro ragionevolezza. È vero che spesso l’eurocrazia esige un pareggio di bilancio quale che sia (anche accrescendo le entrate), ma possiamo solo essere grati a chi ha spinto il nostro governo a cercare di tenere sotto controllo la spesa. E una conferma della necessità di focalizzare l’attenzione su ciò viene dalla terza Nota di aggiornamento del Superindice dell’Istituto Bruno Leoni, elaborata da Nicola Rossi e Paolo Belardinelli, la quale sottolinea come le divergenze interne all’Unione stiano aumentando e come questo divaricarsi adesso non riguardi più relativamente periferici come Grecia, Spagna, Portogallo o Irlanda, ma economie assai più “pesanti” quali sono l’Italia e la Francia.

 

E’ bene che l’Europa cresca, anche se poco (e l’Italia meno di altri). E’ pure positivo che nella nostra economia si crei qualche posto di lavoro in più e che il disavanzo non vada oltre il 2,6 per cento. Ma è molto negativo che l’avanzo primario sia soltanto l’1,5 per cento: contro il 2,2 del 2012 e l’1,9 del 2013.

 

Il giudizio dato da Rossi e Belardinelli è chiaro, dato che l’elaborazione dell’insieme dei dati “suggerisce che il processo riformatore possa essere stato in Italia molto più lento e soprattutto molto meno efficace di quanto da molti sperato”. In sostanza, lo studio mette sotto accusa la politica di bilancio e l’incapacità a tagliare in maniera strutturale una spesa fuori controllo che – per forza di cose – alimenta la tassazione presente e quella futura (con il debito). Il linguaggio usato dalla Nota non lascia spazio a equivoci quando afferma che dietro alla diatriba su flessibilità e austerità vi sarebbe un’Italia che è destinata ad “avviarsi per la terza volta nell’ultimo ventennio a dissipare lo sforzo economico e sociale inteso a riportarla al centro dell’Europa”.

 

Mentre negli ultimi mesi Spagna, Irlanda e Portogallo (e in qualche misura perfino la Grecia) hanno fatto i “compiti a casa” e hanno sfruttato il vincolo comunitario per adottare politiche meno irragionevoli, l’Italia (insieme alla Francia) ha perso pure questa occasione di rimettersi in riga.

 

Che riflessioni si possono derivare da tutto ciò? Di varia natura. Una di queste, in particolare, è che nelle ultime settimane l’andamento dello spread e più in generale dei mercati sembra proprio esprimere una diffusa apprensione dinanzi alla tenuta di un Paese che non soltanto è stato incapace di operare una seria spending review, ma più in generale appare indisposto a ripensare il rapporto tra Stato e mercato.

 

[**Video_box_2**]Va poi aggiunto che è sicuramente cruciale focalizzare l’attenzione sulle specificità di un continente al cui interno vi sono culture divergenti, economie a diversa velocità, attitudini eterogenee, tradizioni giuridiche e culturali distanti e non omologabili. La logica tecnocratica di chi immagina che gli europei possano tutti aderire alla medesima logica è destinata a creare più problemi che benefici, come in troppi casi abbiamo constatato quando si è trattato di tradurre le direttive comunitarie in norme nazionali: quasi a voler ignorare secoli e secoli di evoluzioni molto caratterizzate. Ma questo non significa che 2 più 2 possa fare 4 in qualche economia e 5 in talune altre.

 

Come l’aggiornamento del Superindice evidenzia, contrastare la dilatazione della spesa non significa rinunciare alla propria specificità. Semmai significa rispettare i cittadini e non comprometterne quel futuro che politiche di bilancio lassiste, invece, stanno ora seriamente mettendo a rischio.