Trasparenza sugli incentivi alle rinnovabili, finalmente

Carlo Stagnaro
Una decisione del Gestore dei servizi energetici fa chiarezza per chi paga le bollette, e in fondo anche per il contribuente.

Se la luce del sole è il miglior disinfettante, allora bisogna dare atto al Gse – il soggetto che intermedia gli incentivi alle fonti rinnovabili – di aver fatto un grande sforzo di igiene. Pochi giorni fa, il gruppo guidato da Francesco Sperandini ha iniziato il rilascio dei suoi “open data”: una mole impressionante di informazioni vengono finalmente messe a disposizione di cittadini, studiosi ed esperti indipendenti. Per ora si può accedere a tutte le informazioni relative agli incentivi erogati e ai beneficiari del Cip6 – l’infernale meccanismo introdotto nel 1992 per sussidiare le fonti rinnovabili e “assimilate” – e del conto termico (che finanzia gli investimenti in efficienza energetica e nella produzione di calore da fonti rinnovabili). Nelle prossime settimane, si legge sul sito, “saranno pubblicati, in formato aperto, tutti i dati gestiti dal Gse, categorizzati per argomento, che potranno essere consultati e utilizzati da operatori pubblici e privati”. Si possono inoltre visualizzare i risultati delle verifiche sugli impianti che godono dei generosi sussidi, e che nel solo 2014 hanno portato a un ricupero di oltre 70 milioni di euro su base annua a favore dei consumatori.

 

Quella del Gse è un’iniziativa importante, che si aggiunge a tutti i dati sugli esiti del mercato elettrico già oggi scaricabili dal sito del Gme (la società del medesimo gruppo presieduta da Massimo Ricci) . E’ importante per almeno due ragioni distinte: una di accountability, l’altra di efficienza di lungo termine. Dal punto di vista dell’accountability, anche se ai fini statistici non sono contabilizzati come spesa pubblica, nella sostanza gli incentivi vengono prelevati dalle bollette della luce sotto forma di oneri tariffari. I consumatori di energia, dunque, hanno diritto di sapere come (e a favore di chi) vengono spesi i loro soldi, e hanno diritto di vedere che i controlli sono puntuali ed efficaci. Infatti gli oneri generali di sistema rappresentano un quarto dell’intera bolletta per la famiglia tipo: si tratta di una “torta” che, nel 2014, valeva oltre 12 miliardi di euro, quasi un punto di Pil.

 

Non solo. Rendere pubblici questi dati significa anche semplificare il lavoro di chi, dentro e fuori il governo, intende “misurare” l’efficacia della spesa pubblica. In precedenza, ricostruire l’impiego dei sussidi era pressoché impossibile, a causa della patologica opacità sui flussi finanziari sottostanti. Questa opacità, se per un verso impedisce di arrivare a conclusioni oggettive (si pensi alla retorica, ormai in declino, sui “green jobs”), per l’altro verso rendeva assai più oneroso lo sforzo di individuare, e correggere, le storture inevitabilmente insite in ogni policy. Da parte del Governo, la scommessa sulla trasparenza espone più facilmente a critiche anche urticanti. Ma nel lungo termine ha indubbi effetti benefici perché consente di moltiplicare le analisi e gli studi e, quindi, il numero di quanti contribuiscono, direttamente o indirettamente, al miglioramento della qualità della regolazione – una questione di cui si è discusso anche recentemente all’interessante convegno di Glocus.

 

[**Video_box_2**]Dopo l’apertura della ricchissima banca dati del Siope (che raccoglie tutte le spese delle pubbliche amministrazioni), adesso il Gse si allinea alle migliori pratiche e fornisce, in formato fruibile e accessibile, informazioni preziose e granulari.  Federica Guidi, che sul Gse esercita attività di vigilanza, si era soffermata sul punto proprio nella sua prima intervista da ministro dello Sviluppo economico: “presso il ministero c’è un patrimonio di banche dati e analisi sconfinato, che in qualche modo potremmo mettere a disposizione”. L’iniziativa del Gse rappresenta un elemento di concretezza nella discussione, spesso troppo modaiola, sugli open data.

 

La trasparenza è un elemento indispensabile per garantire che anche l’attività di “policy making” sia investita da quel processo di verifica e miglioramento che è possibile solo quando anche le terze parti hanno facile accesso ai dati. Forse, l’epoca in cui l’informazione era custodita gelosamente nelle oscure stanze dei ministeri sta finalmente sfumando nell’idea che essa è l’unico, vero bene comune.

 

* Carlo Stagnaro è capo della segreteria tecnica del ministro dello Sviluppo economico. Questo articolo è scritto a titolo personale.

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