La concorrenza in Italia, una “rivoluzione incompiuta”

Carlo Stagnaro
La parabola greca insegna molte cose, ma una soprattutto: le riforme, per funzionare, devono essere frutto di una scelta convinta e di una condivisione ampia. Se viceversa sono vissute come una vessazione, anche quelle più radicali rischiano di arenarsi sull’attuazione.

La parabola greca insegna molte cose, ma una soprattutto: le riforme, per funzionare, devono essere frutto di una scelta convinta e di una condivisione ampia. Se viceversa sono vissute come una vessazione, anche quelle più radicali rischiano di arenarsi sull’attuazione. L’efficacia del cambiamento, dunque, dipende dalla diffusione di una cultura del cambiamento stesso. Il libro di Alberto Pera e Marco Cecchini, “La rivoluzione incompiuta. 25 anni di Antitrust in Italia” (Fazi Editore), che sarà presentato mercoledì pomeriggio a Roma alla presenza – tra gli altri – di Giuliano Amato, Claudio De Vincenti, Giovanni Pitruzzella e Salvatore Rossi, fornisce un importante contributo al nostro paese, in relazione a un aspetto cruciale su cui si gioca molta della nostra prospettiva di sviluppo: la cultura della concorrenza.

 

Il ragionamento sottostante è in fondo semplice: “L’efficace applicazione della legge è sì figlia del funzionamento delle istituzioni, ma quest’ultimo in definitiva dipende dalla condotta degli uomini”. Il tutto in un contesto eccezionale: l’Antitrust italiana, infatti, nasce relativamente tardi nel panorama dei paesi Ocse (nel 1990, esattamente un secolo dopo lo Sherman Act statunitense) ma proprio per questo nasce avanzato, avendo alle spalle una lunghissima esperienza internazionale. Contemporaneamente, però, nasce essenzialmente da una spinta tecnocratica – l’impulso europeo di modernizzazione dell’economia in una fase di collasso del sistema socio-politico-economico che aveva retto l’Italia fino ad allora. Esso, dunque, come scrisse Giuliano Amato, “fu un caso di norma volta a cambiare la cultura di un paese più che a registrarne i mutamenti avvenuti”.

 

Un quarto di secolo dopo, il giudizio è inevitabilmente in chiaroscuro. Pera e Cecchini ricostruiscono l’avventura dell’Autorità garante della concorrenza attraverso le principali decisioni, ma anche attraverso l’orientamento impresso di volta in volta dai suoi cinque presidenti (Francesco Saja, Giuliano Amato, Giuseppe Tesauro, Antonio Catricalà, e infine Giovanni Pitruzzella). Essi trovano elementi di continuità e crescita ma anche di discontinuità. Una deviazione, questa, in parte legata alla personalità dei presidenti, ma in buona parte connessa all’allargamento progressivo delle funzioni dell’Autorità stessa.

 

Pera e Cecchini individuano infatti come obiettivo polemico l’attribuzione all’Antitrust di una serie di compiti in materia di tutela del consumatore, rating di legalità delle imprese, conflitti di interesse, ecc., che se da un lato ne hanno “politicizzato” il ruolo, dall’altro hanno distolto risorse dalle più tradizionali attività di enforcement e advocacy. E’ soprattutto sotto questo profilo, insomma, che la “rivoluzione” dell’Antitrust può dirsi “incompiuta”, per riprendere il titolo del libro: in quanto la natura stessa del Garante è cambiata nel tempo. La promozione del processo concorrenziale – che certamente è una funzione poco sexy – ha gradualmente ceduto il posto a iniziative più “notiziabili”, ma anche meno specifiche di un organismo tecnico come inevitabilmente deve essere l’Antitrust. Pera e Cecchini, sotto questo profilo, riconoscono a Pitruzzella il merito di aver cercato, per quanto possibile, di riportare l’Agcm nel solco che più le è proprio.

 

[**Video_box_2**]Seppure incompiuta, comunque, la rivoluzione almeno in parte c’è stata. In primo luogo, specie nei settori tradizionalmente dominati dai monopolisti pubblici, l’applicazione aggressiva della competition policy non è stata priva di conseguenze. Secondariamente, grazie all’intenso ricorso al potere di segnalazione, l’Agcm ha contribuito a individuare quelle barriere alla competizione che non dipendevano dai comportamenti degli operatori, ma dagli incentivi perversi creati da specifiche previsioni normative. Questa spinta trova sbocco nella legge annuale per la concorrenza, presentata per la prima volta dal Ministro Federica Guidi e attualmente in discussione alla Camera: ed è qui che si gioca un ulteriore rischio di “incompiutezza”. Resta infatti da capire se, da un lato, la legge verrà approvata senza essere stravolta e, dall’altro, se davvero si tratterà di un esercizio “annuale”. Se così fosse, come peraltro il governo si è impegnato a fare, saremmo davvero davanti a un importante progresso: le sollecitazioni pro-concorrenziali dell’Antitrust troverebbero finalmente un canale formale e sistematico di traduzione normativa, piuttosto che essere affidate a iniziative occasionali e disorganiche.

 

La rivoluzione, per citare Robert Heinlein, è un’arte da perseguire, non un obiettivo da raggiungere.

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