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Indagine sulla dieta mediatica degli universitari: meno tv e più social. E poca informazione

Redazione

Passano in media quattro ore al giorno su internet. Ma solo il 7 per cento dei ragazzi lo usa anche per informarsi. E di questi, quasi la metà privilegia i social media. Ipsos: "Il loro utilizzo non favorisce il senso critico. Non a caso assistiamo alla crescita dei populismi"

Gli studenti universitari sono sempre meno incollati alla tv: meno della metà la guarda ogni giorno, mentre una vasta maggioranza (82,3 per cento) la guarda solo una volta la settimana. La ricerca di Pubblicità Progresso realizzata da Assirm “L’èlite dei giovani (dis)informati”, evidenziato anche che film (75,5 per cento) e serie tv (69,2 per cento) sono ancora i contenuti preferiti dei giovani. News e telegiornali si posizionano invece al terzo posto. L’indagine ha esplorato le abitudini televisive di oltre 1200 giovani studenti universitari italiani del Network Athena, il think tank dei 100 docenti volontari che collaborano con Pubblicità Progresso. Il campione era composto prevalentemente da donne (72 per cento) e per la metà da studenti in scienze della comunicazione, marketing e scienze politiche e sociali.

 

È ormai su internet che quasi il 40 per cento della nuova generazione passa in prevalenza il suo tempo libero: più di 4 ore al giorno, il 15 per cento addirittura più di 6 ore. Il mezzo più utilizzato per navigare è lo smartphone, preferito dal 95,6 per cento dei ragazzi, rispetto a tablet e computer. Solo il 7 per cento degli intervistati ha dichiarato di accedere al web anche per informarsi. E di questo risicato insieme di ragazzi che cercano notizie in rete, il 42 per cento sceglie come canali privilegiati i social media, il 32 per cento le news online e infine i portali (16 per cento). Segue la TV, preferita da quasi un terzo; mentre è irrisorio il numero di studenti che utilizza il mezzo stampa (2,2 per cento) o radiofonico (1,7 per cento). Le attività online più gettonate sono l’uso di motori di ricerca, il servizio di messaggistica istantanea, i social network di cui Facebook rimane il re (con il 98 per cento), seguito da WhatsApp (91,9 per cento) e Instagram (77,5 per cento).

“Il quadro che emerge dall’indagine offre molti spunti di riflessione, anche piuttosto problematici, e suona come una sveglia per tutto il mondo dell’informazione”, sottolinea Alberto Contri, presidente della Fondazione Pubblicità Progresso. “Lavorando fianco a fianco nei laboratori di comunicazione con gli studenti ho cominciato a cogliere oltre che gli evidenti cambiamenti, anche una preoccupante forma di distonia informativa nelle abitudini mediatiche dei giovani. Dopo aver eseguito un test sui miei settanta allievi, ho chiesto all’Assirm, Associazione italiana istituti di ricerca di mercato e sociale, di realizzare un sondaggio su un campione molto più vasto e rappresentativo della realtà italiana", che è stato realizzato da Ipsos.

  

Secondo Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos Italia, lo scenario che emerge dalla ricerca non è dissimile, in termini di “dieta mediatica”, da quello degli adulti che, subissati di notizie e informazioni, sono al contempo più informati e meno dotati di capacità critica e di discernimento. “Prevale l’esigenza di aggiornamento in tempo reale a quella dell’approfondimento, l’autoselezione delle notizie alla contestualizzazione e alla gerarchizzazione delle stessa – spiega Pagnoncelli – e sempre più spesso le percezioni prevalgono sulla realtà e le emozioni sulla razionalità. L’utilizzo dei social non favorisce il senso critico perché prevale l’omofilia al confronto tra opinioni diverse”. “Tutto ciò si riflette sul clima sociale, sulla fiducia dei cittadini e investe i rapporti con la politica e le istituzioni da cui gli individui si sentono sempre più distanti. Non a caso assistiamo alla crescita dei populismi”. Gli studenti universitari rappresentano la classe dirigente del prossimo futuro: “è importante – conclude Pagnoncelli – che siano consapevoli delle loro responsabilità di cittadini e del dovere di informarsi, non solo per conoscere ma per formarsi una coscienza critica.”

 

“Quello della trasformazione digitale e come essa si riverberi, con diverse declinazioni, nei vari strati della società è sempre stato un tema al centro di studi e, oggi, anche della cronaca quotidiana - spiega Enrico Billi, consigliere Assirm - basti pensare al fenomeno delle fake news e di come la manipolazione delle informazioni possa influenzare sensibilmente l’opinione pubblica”. "Questo nuovo modo di accedere ai contenuti che riguardano l’attualità apre a importanti interrogativi - spiega Billi - perché l’informazione, non più veicolata da un giornalista che ne garantisca l’affidabilità, rischia di circolare anche se non verificata, mentre i nuovi formati e codici, utilizzati dagli smartphone, rischiano, data la velocità con cui si sviluppano, di non dare modo agli editori di appropriarsene prontamente garantendo così in modo efficace il loro ruolo".

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