Una manifestazione delle sigle confederali dei pensionati

Lotta di classe generazionale

Luciano Capone
"C’è stata una lotta di classe negli ultimi 20 anni, ma è la mia classe, la classe dei vecchi, che sta facendo la guerra. E stiamo vincendo”. In realtà nella versione originale della citazione Warren Buffet, riferendosi alla divaricazione dei redditi negli Stati Uniti a favore delle classi più agiate, parlava dei “ricchi”, non dei “vecchi”.

"C’è stata una lotta di classe negli ultimi 20 anni, ma è la mia classe, la classe dei vecchi, che sta facendo la guerra. E stiamo vincendo”. In realtà nella versione originale della citazione Warren Buffet, riferendosi alla divaricazione dei redditi negli Stati Uniti a favore delle classi più agiate, parlava dei “ricchi”, non dei “vecchi”. Ma se l’Oracolo di Omaha anziché americano fosse stato italiano, la sua frase su quest’epoca di forte aumento della diseguaglianza avrebbe avuto come oggetto il conflitto generazionale anziani-giovani più che la lotta di classe ricchi-poveri. Infatti, a differenza di quella che è la narrazione dominante, in Italia in questi anni di crisi la diseguaglianza non è aumentata, è rimasta costante e anzi è in leggero calo se si considerano gli ultimi 20 anni. Come scrive la Banca d’Italia nella sua ultima Relazione annuale, l’indice di Gini che misura la diseguaglianza dei redditi è rimasto pressoché invariato rispetto ai livelli pre-crisi: “La crisi economica non ha determinato un significativo aumento della diseguaglianza: la contrazione del reddito equivalente reale, di circa il 14 per cento dal 2006, ha interessato in misura pressoché omogenea l’intera distribuzione”. Insomma ricchi e poveri si sono impoveriti nella stessa misura.

 


Indice di Gini del reddito equivalente, valori percentuali (fonte Banca d’Italia). La diseguaglianza dei redditi in Italia non è aumentata, è costante da circa 20 anni


 

Ma se in Italia la diseguaglianza è cresciuta meno che negli altri paesi avanzati ed attualmente è agli stessi livelli di inizio anni 80, non vuol dire che in questi anni  tutto è rimasto com’era. Perché è cambiata la composizione demografica della distribuzione: gli anziani sono molto più ricchi e i giovani sempre più poveri. In un altro documento di qualche mese fa, l’indagine sui bilanci delle famiglie italiane, Bankitalia mostra come la crisi economica che ha riportato il reddito medio familiare ai livelli del 1995 sia stata pagata quasi integralmente dalle giovani generazioni: in 20 anni il reddito medio degli over 65 è aumentato di 19 punti mentre quello degli under  35 è sceso di 15. La stessa dinamica del reddito, ma ulteriormente accentuata, si vede per la ricchezza che è aumentata del 60 per cento per gli over 64 e diminuita del 60 per cento per gli under 34. “Nell’arco del passato ventennio – scrive Bankitalia – il reddito equivalente degli individui anziani è passato, intermini relativi, dal 95 al 114 per cento della media generale. Anche la posizione relativa delle persone fra 55 e 64 anni è migliorata (più 18 punti percentuali). Per le classi di età più giovani, invece, il reddito equivalente è diventato significativamente più basso della media: il calo è stato di circa 15 punti percentuali per la classe di età fra 19 e 35 anni e di circa 12 punti percentuali per quella tra 35 e 44 anni”.

 

I pensionati sono i veri vincitori di una struttura della spesa pubblica che ha garantito pensioni superiori ai contributi versati e li ha messi al riparo dalle conseguenze negative del ciclo economico scaricate, insieme ai contributi pensionistici, sui più giovani. Negli ultimi quattro decenni la quota di famiglie con reddito da lavoro è scesa dal 75 al 50 per cento, mentre le famiglie di pensionati sono aumentate dal 12 al 20 per cento: i pensionati sono relativamente sempre di più e sempre più benestanti, con il paradosso che dopo l’ultima recessione hanno un reddito equivalente superiore a quello delle famiglie dei lavoratori dipendenti. Eppure, ancora in questi giorni, anziché cercare soluzioni per far crescere la produttività, i salari dei lavoratori, la partecipazione al lavoro dei giovani e per ridurre la pressione fiscale, la politica dibatte delle proposte dei sindacati (dei pensionandi) per destinare ulteriori risorse alle pensioni e ai più anziani attraverso il ritiro anticipato o la staffetta generazionale.

 

Nel 1997 Nicola Rossi, economista all’epoca vicino al Pds, mise sotto accusa il welfare italiano e le sue distorsioni che ora hanno prodotto questi effetti con un libro dal titolo “Meno ai padri più ai figli”, che subì feroci critiche proprio dalla sinistra e dai sindacati. “Negli anni 90 abbiamo avviato riforme che venivano dopo dieci anni di discussione, pensando che il mondo fosse ancora quello degli anni 80. Le abbiamo completate in parte nel 2011 e solo adesso per quanto riguarda il mercato del lavoro. Siamo in ritardo di 20-30 anni, ma il mondo è cambiato e per questo continuiamo a parlare di riforme”, dice oggi Rossi al Foglio. Secondo l’economista ed ex parlamentare, le direttrici lungo le quali si è ampliata la diseguaglianza intergenerazionale sono state la struttura della spesa pensionistica e le regole del mercato del lavoro, entrambe penalizzanti per i giovani. “Ci sono disparità notevoli per quelle pensioni che solo in parte corrispondono ai contributi versati, ma ci abbiamo messo 15 anni e più a completare la riforma e una generazione ne ha approfittato”.

 

Nel confronto con gli altri paesi europei l’Italia è in una situazione particolare: ha un livello di diseguaglianza dei redditi tra i più elevati, come paesi anglosassoni in cui la pressione fiscale è molto più bassa. Allo stesso tempo ha una pressione fiscale elevata, a livello di paesi scandinavi, dove però la diseguaglianza è molto bassa. Sono gli effetti di una spesa pubblica regressiva: lo stato preleva attraverso le tasse un’enorme quantità di soldi che non serve a ridurre la povertà dei disagiati ma ad arricchire i privilegiati. E naturalmente non è un caso se secondo i dati del rapporto Ocse sulle pensioni, l’Italia ha la spesa pensionistica (circa il 16 per cento del pil, il doppio della media) e la pressione contributiva (33 per cento del salario) più alte al mondo. Come se ciò non bastasse, anche il welfare è totalmente sbilanciato verso i pensionati: secondo i dati dell’Istat esposti in audizione alla Camera, “l’84 per cento degli individui che usufruiscono delle principali prestazioni assistenziali previste dal sistema di welfare italiano è costituito da persone anziane”.

 

Sono disoccupati, trovano lavori precari e non hanno una rete di welfare: i giovani sono i naturali candidati alla miseria. I dati Istat dicono che complessivamente la povertà negli ultimi anni è rimasta costante, ma anche in questo caso è cambiata la composizione: un minorenne su dieci (10 per cento) vive in povertà assoluta, il triplo del 2005; i poveri sono triplicati poi nella popolazione tra i 18 e i 34 anni (dal 3,1 per cento del 2005 al 9,9 di oggi) e sono passati dal 2,7 al 7,2 per cento nella fascia tra i 35 e i 64 anni. L’incidenza della povertà diminuisce invece tra gli over 64, la fascia d’età che segna il valore più basso, il 4 per cento. Un trend confermato dalla Banca d’Italia: “Tra la fine degli anni 80 e il 2014, l’espansione della quota di popolazione a basso reddito si è accompagnata con un sostanziale cambiamento della sua composizione, più che dimezzandosi tra le famiglie di pensionati (dal 40 al 15 per cento), salendo tra quelle dei lavoratori dipendenti (dal 14 al 20 per cento) e dei lavoratori autonomi (dal 12 al 15 per cento)”. E ancora: “Il disagio economico è più elevato per i membri delle famiglie più giovani. Considerando tutti gli appartenenti alle famiglie con capofamiglia di età non superiore ai 30 anni, oltre una persona su tre è in condizione di basso reddito (solo una su dieci alla fine degli anni ottanta)”. Ciò che è sorprendente rispetto a questi dati è che politica, media e sindacati continuino a preoccuparsi di come aumentare pensionati e spesa pensionistica.

 


Reddito equivalente per condizione professionale, numeri indice: Italia=100 (fonte: Banca d’Italia). E’ aumentato il divario intergenerazionale, i redditi degli over 64 salgono mentre quelli degli under 34 scendono


 

Così se per un giovane il passaggio dalla normalità alla povertà dipende dalla nascita di un figlio, simmetricamente il ritorno al benessere dipende dal decesso di un parente anziano: “Nel 2014 circa un terzo delle famiglie ha dichiarato di aver ricevuto un lascito – scrive la Banca d’Italia – La ricchezza di queste famiglie, per le quali i lasciti rappresentano in media il 60 per cento del patrimonio netto, è più del doppio di quella dei nuclei che hanno dichiarato di non aver ricevuto eredità o donazioni”. Le generazioni future potranno attendersi una maggiore ricchezza per la riduzione del numero dei figli con cui spartirsi l’eredità, ma allo stesso tempo non ci sarà più chi la ricchezza la produrrà e chi pagherà le loro pensioni.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali