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Lettori, quasi lettori o capre?

Marco Archetti

Una relazione dell’Associazione italiana editori ci ha detto che in Italia si legge di più

State scherzando? Io non ci capisco più niente. Abbiamo capito bene? Di cosa si tratta, esattamente? Di un dietrofront? Di un cambio di rotta? Di un cambio di mondo? Di una rivoluzione copernicana? Di un’evoluzione darwiniana?

 

Mi agito perché, in una relazione presentata il 26 gennaio nella giornata conclusiva del XXXV seminario di Perfezionamento della Scuola per Librai, l’Associazione italiana editori – mettetevi comodi – ci ha detto che: uno, la vendita dei libri è aumentata del 5,8 per cento rispetto al 2016, generando un ammontare pari a 1.485 miliardi nei canali delle librerie fisiche, di quelle online e della grande distribuzione; due, che per la prima volta da sette anni il risultato è in positivo anche in termini di copie; tre, che crescono i mercati dell’ebook e perfino degli audiolibri, e valgono sui 64 milioni di euro; quattro, che le librerie fisiche (indipendenti e di catena, non facciamo gli schizzinosi) restano i canali principali di acquisto dei libri, alla faccia della digital-sbronza imperante; cinque, che il numero dei lettori è basso ma non bassissimo, anzi, considerando anche chi legge manuali ed esemplari dell’editoria collaterale a quella della fiction o della saggistica (ripeto, non facciamo gli schizzinosi) negli ultimi dodici mesi si è raggiunta quota 62 per cento; sei, che i comportamenti di lettura si fanno più articolati, il che non è mai un male. “I dati”, ha concluso Ricardo Franco Levi, il presidente di Aie, “ci dicono che la più grande industria culturale del paese sta ricominciando a camminare”.

 

Ottimo, no? Si stappino bottiglie, si faccia festa, si gettino in aria i cappelli, non vedevo l’ora di leggere queste notizie. Tuttavia – capitemi – io non dimentico e ho ancora nelle orecchie lo sciabordio querulo di chi lamentava, pochi mesi fa, dati alla mano (altri dati, altre visioni del mondo e della percentuale?), che gli italiani leggono sempre meno, che se n’è andata una fetta imbarazzante di lettori, che la secessione dalla sana abitudine della lettura ha proporzioni preoccupanti. Ho letto articoli scritti con una mano sola, di automatico ammonimento e di pavloviane recriminazioni corali – in uno è saltato ancora fuori il famigerato “berlusconismo” che, quando si parla di cultura, come certe sciarpette sta bene su tutto – e numerosi tweet apocalittici che certificavano il nostro stato ovino, stabilendo collegamenti tra gli scarsi indici di lettura e il livello infimo della corrente campagna elettorale (ci avete fatto caso? Ogni volta è sempre “la peggiore mai vista”). Sennonché adesso salta fuori che il nostro stato ovino non è così spaventoso: sempre capre siamo, certo, ma meno. E dunque? Siccome sono un estimatore di Ottimisti & Razionali, vorrei che almeno loro mi delucidassero. Antonio Pascale, mi leggi? Hai lumi? Hai un cerino per me? Una torcia? Francesco Nicodemo, perché non ti studi un po’ i trend così da spiegarmi una volta per tutte a quale genere zoologico apparteniamo davvero? Devo rinfoderare un editorialino mugolante e depressivo sullo stato della lettura in Italia o lo posso far garrire ai quattro venti in questa rubrica senza paura di essere smentito? Insomma, chi siamo, noi italiani? Lettori, quasi lettori o camosciati delle Alpi?

 

Nell’attesa sto frequentando alcuni ragazzi stranieri. Dell’est Europa, in particolare. E be’… quelli, accidenti, leggono. Lo dico a Salvini: quelli leggono tantissimo! Lidia, una parrucchiera moldava, mi ha detto che non passa giorno senza che legga dieci pagine di un libro. (Sarà un manuale? Sarà editoria collaterale? Non facciamo gli schizzinosi). Irena, una ragazza rumena che fa l’operaia, studia al serale e vorrebbe laurearsi in Psicologia perché l’ha promesso a suo nonno, mi ha detto che sta leggendo “I miserabili”, e che è bellissimo. Lo chiedo a Salvini: li ha letti, lei, “I miserabili?” Non mi dica che non ha avuto tempo e che doveva lavorare, perché a dar retta a un certo suo alleato, in quanto professionista della politica, lei non ha mai lavorato. Io li ho letti, “I miserabili”, ma sarò sincero: da giovanissimo, cioè in un’epoca della mia vita in cui avevo da fare meno di Irena, che si alza alle quattro e mezza, lavora in un’officina meccanica, poi va a scuola e nel weekend fa le pulizie per un’impresa. “L’altro giorno” – si è accalorata – “ho chiesto alla mia insegnante di italiano se potesse coinvolgerci di più nello spiegare Dante. Sai cosa mi ha risposto? Mi ha risposto: ragazzi, non è possibile, Dante è una gran rottura di palle! Dico, ti rendi conto?”. Mi ha guardato strabiliata, Irena, ma io non sapevo cosa dire. Io ho sorriso fesso e le ho fatto il miglior sguardo ovino che potevo.

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