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Una storia, un drago e una moglie che mena le mani bastano per fare un bel fantasy

Gianmaria Tammaro

“Ya – L’Ammazzadraghi” di Roberto Recchioni è una storia di cavalieri e di avventurieri, a metà tra il più classico gioco da tavola e un film di Brancaleone

Ya – L’Ammazzadraghi” è il secondo libro di una trilogia pubblicata da Mondadori. È scritto da Roberto Recchioni, curatore di Dylan Dog, creatore di Orfani, fumettista, sceneggiatore e disegnatore italiano, ed è un fantasy. Un bel fantasy.

 

È la storia di un ragazzo, Stecco, e della sua bella (o brutta?), Marta. È una storia di cavalieri e di avventurieri, a metà tra il più classico gioco da tavola e un film di Brancaleone. Si combatte, in YA. Si combatte, s’ammazza e, come in tutte le migliori avventure, si muore. Il centro del racconto resta sempre quello: l’importanza di una buona storia, del saperla raccontare e di quanto, alle volte, questo – raccontarla bene o raccontarla male – possa fare la differenza.

 

Stecco, che è un ragazzino magrolino innamorato più del mito che della vita vera, è uno che le storie – tutte le storie, specie le avventure – le sa raccontare splendidamente. E alla fine, scherzo del destino, finisce per diventare il protagonista di una di esse. Ne “L’Ammazzadraghi”, però, la vera protagonista è Marta, la montanara, una che, sposata con Stecco, non ammetterà mai di volergli bene. Sa menare le mani, lei. È una con il sangue negli occhi, da non contraddire. L’unica che si contrappone tra il marito e gli Avventurieri. È lei che gli dice che quella, quella dell’avventura, non è vita. Ed è lei che, alla fine, decide di andarlo a salvare.

 

Se nel titolo c’è un ammazzadraghi è perché c’è un drago da ammazzare. Suona un po’ come una vecchia novella, piena di cavalieri e di sante ragioni, di combattimenti e di regolamenti d’onore. E invece, eccola la magia, è un fantasy. Niente di eccessivamente epico, niente di mostruosamente serio o noioso. Roberto Recchioni sceglie la strada migliore per raccontare la sua storia e punta sulla semplicità. Fraseggi brevi, divertenti, che si alternano a descrizioni colorate ma mai, mai, eccessive.

 

Abbiamo un’idea del mondo in cui ci muoviamo: sappiamo chi è chi, ci appassioniamo ai nomignoli, ai soprannomi, alle storie dimenticate; e un po’ ci immedesimiamo in Stecco, uno che l’avventura l’ha sempre cercata e che quando finalmente la trova non sa più che farsene.

 

È la potenza, lo dicevamo prima, di un buon racconto. È su questo che Recchioni pone l’accento. L’aveva fatto con il primo volume e lo rifà splendidamente con questo. La forza di un libro del genere, di un libro fantasy, sta nella sua altissima fruibilità, nel fatto che non cerchi mai, neppure per un istante, di prendere in giro il lettore. Ha il sapore di un gioco, “YA”: con le sue regole, per quanto indecifrabili; divertente, ricco di personaggi, avvolto da un leggerissimo strato di citazioni – alla letteratura, più che altro, e al cinema – e di sentito dire. È un libro breve, duecentoventuno pagine per diciotto euro di prezzo, come non se ne vedevano da un po’: leggero, interessante e genuino, per ragazzi ma non solo.

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