La quadriga sulla Porta di Brandeburgo, Berlino (foto Pixabay)

Manifesto per l'Europa liberale

Giulio Meotti

Brague, Scruton, Legutko e Spaemann scrivono una dichiarazione per salvare il continente dalla “distruzione culturale”

Roma. Una “dichiarazione di Parigi” a favore dell’“Europa in cui crediamo”. A firmarla sono alcuni pezzi da novanta della cultura europea: l’inglese Roger Scruton, uno dei massimi filosofi conservatori anglosassoni; il medievista francese Rémi Brague, studioso di Maimonide e docente alla Sorbona; il polacco Ryszard Legutko, ex ministro dell’Istruzione, docente di Filosofia antica all’Università Jagellonica di Cracovia e prima ancora responsabile intellettuale di Solidarnosc durante la Guerra fredda; il tedesco Robert Spaemann, a lungo compagno di ricerche e studi dell’allora professor Joseph Ratzinger e poi erede della prestigiosa cattedra che fu di Hans-George Gadamer a Heidelberg; lo spagnolo Dalmacio Negro Pavón, membro dell’Accademia reale spagnola per le scienze sociali; infine i francesi Chantal Delsol, la fondatrice dell’Istituto Hannah Arendt di Parigi, e Philippe Bénéton, un politologo dell’Università di Rennes.

   

“Una civiltà insostituibile”, così questi intellettuali definiscono l’Europa, il cui futuro “deve essere liberale nel miglior senso del termine, ovvero aperta a un robusto dibattito pubblico libero da ogni forma di coercizione e violenza”. Dicono che l’Europa è oggi minacciata dalla “compiacenza”, dall’“indottrinamento educativo” e dalla “caricatura della propria storia”. Dicono di essersi “riuniti per la comune preoccupazione per lo stato attuale della cultura e della società, ma soprattutto dell’immaginazione europea. Attraverso l’illusione, l’auto inganno e la distorsione ideologica, l’Europa sta dissipando la sua grande eredità civilizzatrice”.

  

Secondo i firmatari di questo manifesto, è in corso un “ripudio delle radici cristiane”, mentre allo stesso tempo le élite europee “sono attente a non offendere i musulmani, che sperano possano adottare la loro visione laicistica. Affogata nel pregiudizio, nella superstizione e nell’ignoranza, oltre che accecata dalle prospettive vane e autogratificanti di un futuro utopistico, per riflesso condizionato l’Europa falsa soffoca il dissenso. Tutto ovviamente in nome della libertà e della tolleranza”. “Stiamo raggiungendo un punto morto”, si legge. “La più grande minaccia per il futuro dell’Europa non è né l’avventurismo russo né l’immigrazione musulmana. L’Europa è a rischio a causa della presa soffocante sulle nostre immaginazioni”.

    

Indicano la crisi demografica come una fonte di destabilizzazione interna alla Ue: “Una società che non accoglie i figli non ha futuro”. Denunciano (molti di loro sono cattolici) la “finta cristianità dei diritti umani universali”, assieme alla “crociata utopico pseudo-religiosa per un mondo senza confini”. E ricordano ai governanti che “la dignità di ogni individuo, indipendentemente dal sesso o dalla razza deriva dalle nostre radici cristiane” e che è necessario trarre “ispirazione dalla tradizione classica, la letteratura dell’antica Grecia e di Roma”. Puntano il dito contro un “edonismo libertino che porta alla noia e a un profondo senso di inutilità”, così che “invece della libertà siamo condannati alla vuota conformità della cultura guidata dai media”.

   

Poi l’accusa: “La generazione del Sessantotto ha distrutto ma non ha costruito”. Si parla anche di islam: “Riecheggiando ironicamente l’antica idea imperialista, le classi dirigenti dell’Europa ritengono che i musulmani diventeranno necessariamente come noi. Il multiculturalismo ufficiale è stato dispiegato come uno strumento terapeutico per la gestione delle tensioni culturali temporanee”. Ma “i discorsi sulla diversità, l’inclusione e il multiculturalismo sono vuoti”. Tutti i firmatari vengono da prestigiose università e spiegano che queste “una volta cercavano di trasmettere ad ogni nuova generazione la saggezza delle epoche passate, mentre oggi sono agenti della distruzione culturale”.

  

È il grande valore di questo manifesto, indicare nel fronte interno culturale quello più esposto dell’Europa, la sua “tirannia morbida” esercitata dagli “stregoni del progresso inevitabile”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.