Foto di film forever via Flickr

Diffidate dei letterati che vogliono per amici soltanto i letterati

Marco Archetti

Si può essere amici di persone che non hanno mai letto un libro? Sì. Raimo e Salter dovrebbero rileggersi Orazio

Non ho mai letto James Salter, scrittore newyorkese diplomato all’Accademia di West Point, che nell’assai celebrato “Per la gloria” raccontò al mondo la guerra in Corea. Non ho mai letto James Salter, scomparso nel 2015 e autore dei romanzi “Tutto quel che è la vita”, “Una perfetta felicità” e “La solitudine del cielo”, infatti fin qui ho scopiazzato noterelle bio-bibliografiche che ho trovato in giro. A voler proprio mettere le mani avanti, non ho letto nemmeno “L’arte di narrare”, raccolta di tre brevi lezioni (che non ho ascoltato) tenute all’Università della Virginia (che non ho frequentato), testo da considerarsi (non da me, che continuo a leggere e a riprodurre pedissequamente) una specie di summa del suo mestiere e dei suoi riferimenti, “bilancio della sua vocazione letteraria”, per dirla con Christian Raimo dalla Stampa del 7 ottobre, che colà sintetizza e rimarca le valenze quasi religiose della medesima. Ma ho letto il titolo dell’articolo, che recita: “James Salter: Posso essere amico solo di chi ha letto (almeno) un libro”. Ohibò. Qui il gioco si fa duro, ho pensato mentre leggevo, dissentendo molto e considerando quella frase, d’implicita autoelezione, foriera delle peggiori terribilità per uno scrittore, compreso uno che, per quel che ne so (niente), è cento volte meglio di me e Raimo messi insieme (anzi, di sicuro).

 

Così mi è venuta in mente la nona Satira di Orazio, che sine ullo dubio aveva idee diverse da Salter al punto da rappresentare il dramma opposto: quello di schivare un amico che ha letto (almeno) un libro. Il poeta è a passeggio e racconta: “Un tale mi si fa accanto, uno che conosco di nome. Mi afferra la mano e: ‘Come stai, carissimo?’. ‘A meraviglia, almeno per ora’ gli dico. Siccome non mi mollava, lo prendo d’anticipo: ‘Ti serve forse qualcosa?’. E lui: ‘Dovresti conoscermi, sono un uomo di lettere’. Ed io: ‘Ti terrò più a caro per questo’. Cercando disperatamente di staccarmene, andavo più in fretta, ogni tanto mi fermavo, il sudore mi gocciolava giù fino ai talloni. (…) E quello cianciava a ruota libera. Siccome non gli rispondevo, ‘Desideri svignartela’ mi dice ‘è un pezzo che lo vedo; ma non c’è niente da fare; non ti mollerò fino all’ultimo. Da che parte sei diretto adesso?’. ‘Non è il caso tu faccia un simile giro, vado da un tale che non conosci, abita oltre il Tevere’. ‘Non ho niente da fare e non son pigro: ti verrò dietro fino lì’”. E mentre quello, effettivamente, lo tampina fino a destinazione magnificando ossessivamente se stesso e la propria sapienza letteraria, ecco che a Orazio torna alla mente la profezia di una fattucchiera sabina che, scuotendo l’urna divinatoria, gli aveva predetto che non sarebbe morto per tremendi veleni, spada nemica o dolore al petto, ma che sarebbe stato “un chiacchierone a portarlo alla tomba”. Conseguente raccomandazione: tenersi lontano da simili individui. Che poi è anche la mia norma esistenziale, non essendo scritto da nessuna parte che chi abbia letto (almeno) un libro sia per forza mio amico, fratello o consanguineo morale.

 

Salter disse che senza un libro in comune sarebbe stato difficile per lui sentirsi in intimità con qualcuno, ma io conosco anche lettori che stabiliscono, come nel caso oraziano, rapporti persecutori e logorroici col prossimo, e penso che la frequentazione di coloro che Salter avrebbe definito illetterati giovi invece molto ai letterati, i quali necessitano di solide radici più che di evanescenti ascensioni, altrimenti sulla base di cosa potrebbero mai decollare, ascendere, trasumanare? La divisione del mondo in “lettori uguale amici / non lettori uguale non amici”, inoltre, non sarebbe saggia per la mia vita, annoverando io, nella schiera dei miei intimi, almeno tre poderosi non lettori, che non solo non leggono me, ma nemmeno altri che lo meriterebbero di più (tipo Salter).

 

Sono convinto che senza la frequentazione di illetterati non si dia letteratura, soprattutto perché – mi si permetta un corrispettivo socratico – a quel punto non dovrei nemmeno frequentare me stesso, che qualche libro l’ho letto, ma me ne mancano talmente tanti che è come se avessi letto giusto qualche riga di qualche pagina di tutto ciò che avrei dovuto.

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