Dario Franceschini (foto LaPresse)

Al Franceschini ministro e scrittore consigliamo la separazione delle carriere

Mariarosa Mancuso

"Disadorna e altre storie" di cui non si sentiva l'urgenza

Il “romanzo dell’onorevole” – perfidamente descritto da Carlo Fruttero nella sua satira parlamentare “Visibilità zero” – è un manoscritto nostalgico dove l’autore ripensa alla propria infanzia, trovandola (in tutta modestia) interessante e originale al punto da condividerla con il mondo. Trama: la modesta ma genuina vita al paesello, quando i pomodori erano più saporiti, l’erba era verde e la mamma carezzevole. Il libro pubblicato del ministro – Dario Franceschini, sugli scaffali con “Disadorna e altre storie” in copertina, edizioni La Nave di Teseo – riunisce una serie di racconti senza titolo. Il genere letterario considerato dall’editoria italiana “veleno al botteghino”, con la mai pronunciata motivazione “il lettore fatica ad abituarsi, se gli cambi le carte in tavola abbandona”. L’assenza dei titoli – o dei numeri, qualcosa comunque serviva per dare una dritta – fa pensare che il lettore sia l’ultima delle preoccupazioni. Non così il book tour che tocca Milano, Ferrara, Roma (con la musica di Paolo Fresu).

 

Un ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo può scrivere e pubblicare, ci mancherebbe – aveva scritto romanzi anche Aurélie Filippetti, ministro nel governo Manuel Valls. Sarebbe meglio però non insistere sul fatto “soltanto in Francia posso fare lo scrittore e basta”, come certe belle donne che vogliono essere considerate solo per la loro intelligenza. Poi, certo, tra i tagli dei nastri, le leggi sul cinema, le molte altre incombenze che la carica comporta finisce che uno dimentica i titoli (motivi più letterari all’orizzonte non se ne scorgo).

 

Ogni italiano ha un romanzo nel cassetto, è accertato (e chi non ce l’ha lo scriverà a breve). A Dario Franceschini si deve l’idea, qualche anno fa, di una “Biblioteca degli inediti”: proposta che sta alla letteratura come “l’uno vale uno” dei grillini sta alla politica e alla democrazia. Modestamente proponiamo – l’incarico da ministro non dura in eterno, come la bellezza sfiorisce – la separazione delle carriere. Son tante le cose da sbrigare, e magari il racconto sul migrante siriano Nizar, che “aveva nella faccia e nello sguardo secoli di storia” non era così urgente. Sappiate però che muore di freddo all’Esquilino, unico avere – frugato dai carabinieri che cercano i documenti per l’identificazione – una borsa con “libri meravigliosi, in tutte le lingue più antiche del mondo”. “Non trovava l’ispirazione, distratto dalle troppe cose della vita”, leggiamo. Un consiglio da tenere presente. Lo scrittore protagonista del racconto però parte da Bogotà e va nel Delta del Po – Dario Franceschini è di Ferrara – e miracolosamente il blocco scompare. Sconfitta la crisi da pagina bianca, dovrebbe ricordarsi che più dell’ispirazione serve il sudore, vale il principio dell’iceberg enunciato da Ernest Hemingway: quel che resta sulla pagina è la punta dell’iceberg, pochissimo rispetto a quel che bisogna cancellare perché superfluo. Scomodiamo Hemingway perché di strizzate d’occhio a “Il vecchio e il mare” in queste 96 pagine se ne trovano più del necessario. Assieme a quel che abbiamo battezzato – dopo aver raccolto e trascritto decine di esempi in un quadernino – la poetica tutta italiana del “caffè mescolato”. Faccenda banale, dovrebbe far parte delle “cose noiose tagliate via” che distinguono i romanzi e il film dalla vita, rendendoli più interessanti. E invece no, Dario Franceschini la descrive al rallentatore, e tenta l’epifania “una tranquillità sconosciuta l’avvolse”. Da allora il vecchio, di fronte al mare, decide di concentrarsi “sulle pause, i piccoli gesti, i frammenti”. Un altro guarda il mondo dalle fessure, lì sta la bellezza del mondo che nessuno vede (c’è di che scatenare un litigarello con Paolo Sorrentino).

 

Son cose che nel salotto di Fabio Fazio sono considerate segno sicuro di capolavoro letterario. A completare l’elenco di quel che si porta oggi, arrivano gli ottantenni in bicicletta e l’Alzheimer. A completare l’elenco dei capi che non passano mai di moda, il ritorno al paesello natìo.

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