Giambattista Tiepolo, L’Olimpo e i continenti (particolare)

Lezioni di un maestro della devozione atea

Giuliano Ferrara

Il nuovo libro di Roberto Calasso, che disvela le infinite complicazioni della universale disponibilità informatica e mortifica il bisogno di sentirsi buoni

Anche nel suo ultimo libro, che riprende nel titolo l’intuizione di un “innominabile attuale” presente altrove nelle sue opere, Roberto Calasso è maestro della devozione atea. L’opuscolo, sono appena centosessanta pagine, è un capitolo della sua apocalisse letteraria, senza la detestata storicizzazione e senza profezia, privo al tutto di qualunque aderenza a un canone confessionale o di una sua nostalgia. Istantanea di questo inizio di secolo, in cui si perfeziona l’Homo saecularis con la sua superstizione della società e la sua derisione del sacro, il libro disvela le infinite complicazioni della digitabilità o universale disponibilità informatica: puoi avere tutto dai Big Data, che in cambio hanno te tutto intero e spezzettato, preso in un delirio di onnipotenza che però non è più sindrome clinica ma arricchimento della normalità, con la fulminante conclusione krausesca secondo cui “la mitomania è entrata a far parte del buonsenso”. Chapeau.



 A semplificare, il libro si compone di tre paragrafi sapientemente disordinati, uno lungo e dotto corretto con un tanto di umor nero gaddiano e arbasiniano (Turisti e terroristi); uno erudito e languido alla Isherwood, addio a Berlino per frammenti dal 1933 al 1945 (La Società Viennese del Gas); uno appena percepibile e onirico in cui Baudelaire torna prigioniero in sonno di torri cadenti (Avvistamento delle Torri). In sintesi estrema: il mondo superstizioso e sociale, molto sociale, è frivolo e minaccioso, abbastanza stupido da escludere il divino ma volendosi salvare, e il suo programma inconsapevole resta l’autoannientamento. Il mondo a disposizione delle tue dita è un teatrino mnemotecnico smarrito “nelle regioni più remote e più oscure della sua vita mentale”. Non bisogna dimenticare che Calasso è scrittore e editore su supporto cartaceo, come si dice, ma non si può escludere la ragionevolezza dell’allarme sull’evoluzione di Homo saecularis e addirittura di Homo sapiens.

 

Un’apocalisse letteraria deve essere piacevole, sottilmente edificante. E la decrittazione del turismo volontario o missionario è gagliarda. Ignorando la grazia, il mondo secolare cerca i meriti, come la chiesa cattolica medievale e rinascimentale traffica ma bonariamente in indulgenze, così “il nuovo turista che si vergogna di essere un turista e nient’altro” ti insegna a insegnare ai bambini come salvare le tartarughe. “E’ un gioco in cui tutti i giocatori sono convinti di guadagnare qualcosa: l’agenzia promotrice, i turisti volontari, i nativi e le tartarughe”. La Convinzione della Tartaruga potrebbe essere un prossimo titolo adelphiano. C’è anche un delizioso ritratto analogico, per niente digitale, di Michele Serra: “Ma i puri secolaristi, privi di qualsiasi affiliazione religiosa e poco inclini alle fisime spiritualistiche, non riescono a rinunciare al bisogno di sentirsi buoni. Sarebbe il loro ideale se qualche biologo neodarwinista dimostrasse che la società, sin dai primordi, si fonda sull’altruismo e sulla tolleranza. E perciò che essere buoni costituisce un vantaggio evolutivo, unico criterio con cui possono misurare il bene. Ogni anno, qualche volenteroso prova a dimostrarlo, invano”. Quell’unico criterio, a proposito, non è negoziabile.

 

Questa occhiata ai nipotini di M. Homais e dei protosperimentatori socio-culturali Bouvard e Pécuchet, reverenzialmente timorosa, ma generosa e superbamente scritta, riespone modi e tropismi del migliore Calasso, e forse non ce n’è nemmeno necessariamente uno peggiore. Ce l’ha con i “terroristi islamici”, dizione elegante e unica nel testo per dir così aneufemistico, che s’affidano a vittime casuali, tra cui loro stessi, per ritornare nel parco giochi del Veglio della Montagna; ce l’ha con i turisti che disconoscono il trauma dell’ignoto, con un perdonabile tratto bandistico e snobistico; ce l’ha con i cercatori di morale laica e molti altri filamentosi e ipercorretti portavoce dello Zeitgeist; ce l’ha con un anonimo che è sempre Collettivo, come diciamo noi, e con un Collettivo della democrazia sostanziale e dell’emancipazione radicale che è sempre anonimo. Sicuramente atea, la sua è una devozione sapienziale, come sempre ispirata alla veggenza e agli analogisti, e le sue tirate contro umanisti e transumanisti sono mirabilmente argomentate, il composto riesce vivido e nutriente, affascinante per secchezza di lingua e stile e catalogo delle sprezzature (la sua infinita risorsa). Non gli si può rimproverare quel che è la sostanza della sua accusa al secolarismo, non avere uno stile e usarli tutti. E non è poco.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.