Antibes, Costa Azzurra. Foto via Pixabay

Il viaggio di Guy De Maupassant nella Francia del sud

Marco Archetti

Neppure la bellezza della Costa Azzurra fa tacere quella voce dentro

"E’ la calma, la calma soave e calda di un mattino di primavera del Mezzogiorno, e già mi pare di aver lasciato da settimane, da mesi, da anni, le persone che parlano e si agitano. Mi sento pervadere dall’ebbrezza di essere solo, la dolce ebbrezza del riposo che nulla turberà. Non mi si può chiamare, invitare, trascinar fuori, assillare di cortesie. Sono solo, veramente solo e libero. Galleggio dentro una dimora alata che si dondola, graziosa come un uccello, piccola come un nido, più morbida di un’amaca, che erra sull’acqua a piacere del vento. Ho due marinai che mi obbediscono, alcuni libri da leggere e viveri per quindici giorni". Guy de Maupassant scriveva queste parole il 6 aprile 1887 e le affidava a quel diario di flânerie marinara che intitolerà Sur l’eau.

  

Desideroso di una barca fin dall’adolescenza al punto che già durante gli anni dell’istituto Yvetot ne chiese invano una alla madre, ammalato di sifilide da più di dieci anni – “Ho la sifilide! Finalmente! Così ora non ho più paura di beccarmela!” –, ormai disperato, eteromane e a dar retta al mentore Flaubert innamorato dell’onda turchina più che della letteratura (ma meno che delle avventure passionali, se il testo di alcune epistole/pistolotto del Gustave maggiore suonano così: “Bisogna lavorare di più, giovanotto! Troppe baldracche, troppo canottaggio! Vi lamentate che il culo delle donne vi è venuto a noia? C’è un solo rimedio: non servirsene!”), a imbarcarlo per quel tratto di Costa azzurra che brillava tra Saint Tropez a Montecarlo furono due bisogni: contrastare i sintomi della malattia che lo strazierà di lì a pochi anni e starsene per un po’ lontano da tutti – lui che scriveva cinque lettere d’amore al giorno, sbuffava: “Mi sono sorbito l’animo umano in tutta la sua insulsaggine”. Difficoltà di respiro, palpitazioni, manifestazioni erpetiche, coliche, emorragie, reumatismi, paralisi dell’accomodamento dell’occhio destro: arsenico e bromuro i rimedi a questo devastato quadro clinico di cui Maupassant si vanterà fino all’ultimo, marchio di una vita presa per il bavero e vissuta tutta sempre, spremuta all’inverosimile e immersa in quel suo superbo maledettismo antiborghese. Eppure, in un certo senso, Maupassant borghese lo era diventato: 40.000 franchi in un anno – tanto gli avevano fruttato le 37 edizioni in quattro mesi di Bel-Ami. Infatti, come suol dirsi, si fece la barca, e navigò a vela lungo la tratta Saint-Tropez/Saint-Raphael/Agay/Saint-Honorat, fino a Cannes, “incantevole città dei titoli nobiliari, ospedale del mondo e cimitero fiorito dell’Europa aristocratica”, guardando il mondo da lontano, scommettendo sul vento e guadagnando il largo, fendendo le onde coi delfini “pagliacci del mare” e scendendo a terra solo due volte – in un caso, camminando di notte tra le cave di porfido del Dramont, tra abetaie e rocce granitiche color porpora – però sempre assillato e martellato dalla voce della coscienza, dei rimorsi e delle cose scomparse, “la voce di ciò che non otterremo mai, l’esile vocina che lamenta il fallimento della vita e l’inutilità dello sforzo”. Ma l’acqua no, non beve le ombre, anzi, le scompone, le rifrange, le moltiplica. Così Maupassant fugge ma è sempre inseguito.

  

  

   

Il punto della costa del Mezzogiorno in cui sembra trovare una transitoria tregua è ai piedi del Dramont, vicino all’Ile d’Or, da dove scorge la costa di Saint-Raphael, presso le foci del fiume Argens e ai piedi dei monti scuri dei Mori, festonati dalla vegetazione più varia d’Europa e strapiombanti in mezzo al mare fino al Cap Camarat, oltre il golfo di Saint-Tropez, capitale di un piccolo reame saraceno i cui villaggi, costruiti in cima a picchi scolpiti, sono gremiti di case moresche, di arcate e cortili nei quali svettano palme più altissime. Freme d’amore per la strada che segue il mare tra Saint-Raphael e Saint-Tropez, stupenda via che taglia le foreste, e attracca con gioia nel piccolo porto bianco di Saint-Maxime, modesta cittadina-conchiglia nutrita di pesci e aria salata, generatrice di marinai e gonfia d’odore di salsedine e catrame ardente e meravigliosa ittica putredine. Si ristora, Maupassant, in mezzo alla “genìa zoppa dei vecchi marinai, che hanno visto il sotto e il sopra del mondo”, e di notte riflette, si droga, scrive e si strazia, aggrappato alla vita quanto più la fugge, perché l’uomo che sotto il sole ama normalmente, sotto la luna adora con frenesia – un uomo che faceva indigestione di vita, ma che avrebbe voluto a malapena sentirsi esistere.