James Joyce celebrations. Foto Niall Carson

Fan di Joyce, fatevene una ragione: Dublino non è più quella dell'Ulisse

Antonio Gurrado

Una guida per festeggiare (oggi) il Bloomsday 

Ho fatto un giro nella Dublino del 1904 e l’ho trovata piuttosto cambiata. Oggi cade il Bloomsday: ogni 16 giugno i fan di James Joyce celebrano l’anniversario del giorno in cui è ambientato l’Ulisse camminando nei luoghi percorsi da Leopold Bloom. I tour a tema di Dublino sono andati esauriti da tempo; ma negli anni è invalsa la tradizione di celebrarlo ugualmente in tutto il mondo, da Auckland alla Croazia, da Philadelphia a Shanghai. In Italia il Bloomsday itinerante si svolge nella città che più somiglia a Dublino: Genova, dove si possono inseguire pubbliche letture joyciane da Calata de Mari a Strada Nuova.

   

Ma Dublino somiglia a Dublino? Aiuta a risponde un libro che – con la copertina verde, la foto panoramica, il titolo “Nel cuore della città di Joyce” – sembra una guida turistica ma è una guida visiva alla lettura del romanzo. L’ha scritto Marcello Fanfoni per Book Time, recandosi con la devozione del pellegrino a fotografare i luoghi dell’Ulisse capitolo per capitolo, alla ricerca di cosa resta di ciò che Joyce ha reso immortale. Pochino. La spiaggia di Sandymount dove cogita per un intero capitolo di monologo interiore aristotelico il deuteragonista Stephen Dedalus non c’è più: è arretrata e il punto descritto da Joyce ora è un giardino. La colonna in memoria dell’ammiraglio Nelson è stata abbattuta dall’Ira e al suo posto c’è una torre in acciaio di 120 metri. La redazione dell’Evening Telegraph è diventata una libreria; il fioraio di Grafton Street un negozio d’abiti; la storica sede della Dublin Bakery Company una copisteria; il pub di Barney Kiernan è una serranda chiusa, anonima.

  

Non che l’Ulisse non abbia influito sul destino della città. Nel capitolo dell’ora di pranzo Bloom rifugge dal ristorante Burton, i cui clienti mangiano come animali, ed entra nel lindo pub di Davy Byrne. Oggi il Burton è chiuso mentre il Davy Byrne’s gode di ottima salute. Il quartiere dei bordelli, scena del capitolo “Circe”, è stato riqualificato: chiusi i casini, rinominate le strade (una è diventata James Joyce Street), lasciati nel degrado gli edifici. Il capitolo “Sirene” è ambientato nell’Ormond Hotel: la holding che l’ha acquisito aveva presentato un piano per demolirlo e ricostruirlo ma la giunta comunale l’ha proibito. Risultato: non c’è più il vecchio albergo e non c’è ancora quello nuovo. Joyce diceva che Dublino è il paradigma della paralisi. 

  

La casa da cui Bloom esce al mattino e rientra di notte al 7 di Eccles Street ora è una clinica privata su cui è stata affissa una tardiva targa. In compenso esiste una sedicente Bloom House al civico 78, più o meno di fronte. Le targhe sono la iattura del Bloomsday: a ogni angolo o marciapiede si rischia d’imbattersi in qualche citazione lapidaria dall’Ulisse che intende commemorare il luogo così com’era nel 1904 ma appare più una sudata riparazione al non essere stati lungimiranti abbastanza da preservarlo. La targa sul Loop Line Bridge si trova inavvertitamente su un pilone diverso da quello cui la citazione si riferisce.

   

Ciò che dunque vedono gli accoliti del Bloomsday è sovente una ricostruzione artificiale a uso dei turisti (nella drogheria Sweny in Lincoln Place si vende la saponetta al limone che Bloom compra nel romanzo). Restano immutate solo le chiese. La cattedrale protestante di San Patrizio, di cui fu decano Jonathan Swift; la chiesa di San Giorgio le cui campane sono le prime a risuonare nel romanzo; Ognissanti, dove l’ebreo Bloom va a sbirciare com’è una Messa; la St Mary’s Star of the Sea da cui sente l’eco di inni che accompagnano un suo atto di voyeurismo in spiaggia. La morale è che la religione resiste sempre, e che leggere è meglio di viaggiare.

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