Palazzo Grassi a Venezia, dove è allestita la mostra di Damien Hirst (foto LaPresse)

Incredibile occidente

Maurizio Crippa

Provare a spiegarsi, serenamente, il cambiamento del “senso comune” con una mostra di Damien Hirst

C’è una mostra a Venezia di Damien Hirst che ha dell’incredibile, o del poco credibile, o è un fantasmagorico gioco sul falso e la Storia, oppure è un’esibizione del falso come quintessenza del vero. Il liberto Aulus Calidius Amotan, conosciuto come Cif Amotan II, aveva collezionato tutte le meraviglie che si potevano collezionare nel mondo antico, dalla Cina all’Egitto. Le caricò su una nave per portarle a Roma e farne un museo. La nave la chiamò L’Incredibile. Naufragò. Il gioco di Hirst è di aver finanziato il ritrovamento del relitto e aver restaurato le opere strabilianti che vediamo. In fondo il nostro mondo, che presuntuosamente chiamiamo occidente mentre forse a oriente qualcuno sta per schiacciare il bottone fatale, non è un falso che sopravvive a se stesso? Damien Hirst è uno degli ex British Young Artist che trionfarono negli anni Novanta, quando la Britain era cool, e non Brexit, e Tony Blair non si era ancora convertito al cattolicesimo.

 

 

“Tesori dal relitto dell’Incredibile” è il titolo della mostra di Palazzo Grassi. Leggendo, come tutti, gli stralci pubblicati del saluto funebre pronunciato a Parigi da Etienne Cardiles per il suo compagno poliziotto Xavier Jugelé ucciso sugli Champs-Elysées, e soprattutto il commento che ha ispirato, qui sul Foglio di ieri, a Giuliano Ferrara, ho pensato che un buon titolo unificato, per il compianto funebre e per il pezzo di Giuliano, sarebbe stato: “Tesori dal relitto dell’Incredibile”. Perché sono riflessioni, luccicanti come certe malachiti o pseudo malachiti di Damien Hirst, sull’occidente e sul suo stato. Forse non più credibile, forse appena nato come nuovo, forse affondato. Dicono qualcosa anche su questa strana mania, questa fake news più degna di un museo o di un’archeologia del sentire che dell’attualità politica, che è la spasmodica ricerca (o minaccia) del voto identitario. In Francia, in Europa, in Italia. L’identità nazionale, i suoi basamenti cristiani, i suoi valori di basalto sprofondati negli abissi. Ma che qualcuno dice di scorgere all’orizzonte. L’articolo di Ferrara notava che il “Sens Commun” che i néo-catholique francesi hanno provato a gettare nella contesa pubblica è stato obliterato, sommerso come un relitto di antichi tesori dal corrente senso comune occidentale, dignitoso e amorevole, “della compiuta autonomia individuale dell’uomo e della donna solitari, nel mondo definito dal diritto e dagli interessi dei singoli, al di fuori del nuovo senso comune”. Un senso comune soltanto un po’ malinconico – ma la morte è dolce, se vivi così, anche quando non è una dolce morte.

 

Ieri era anche il giorno in cui tutti abbiamo ricordato Philadelphia, che è un film del 1993. Quattro matrimoni e un funerale è un film inglese del 1994, Hirst aveva appena iniziato ad accumulare tesori (sul conto corrente) e Blair in quei giorni firmava ancora patti al Granita. Il cuore del film è l’orazione funebre che Matthew dedica al compagno di Gareth, citando Funeral Blues di Auden. Le invasioni barbariche, il film canadese della dolcissima morte senza imbarazzi metafisici è del 2003, e fanno comunque quasi quindici anni fa. Prima di entrare di diritto, a buon diritto, nella sfera delle istituzioni francesi e dunque europee il Senso Comune era passato per l’arco di trionfo della cultura pop. Il resto è archeologia. Forse perfino falsa. In Italia è appena passata alla Camera una legge sul testamento biologico, o forse è sull’eutanasia, vedete voi, ma non interessa così a nessuno, che non se n’è parlato. Non per la malvagità dei tempi e degli uomini. Semplicemente, è fuori dal senso comune stare a discutere su ciò che a tutti appare come evidente (non è il senso dei falsi-veri di Hirst?).

 

Giusto per dire che quella (incredibile) stagione che abbiamo chiamato occidente cristiano è dietro alle spalle da molto prima. E si può averne dolente, consapevole nostalgia. Oppure no. L’unica cosa che si dovrebbe evitare è spedire Marin Le Pen a scavare sotto la crosta dei terroir, come fosse Damien Hirst: non troverà tesori. Né li troverete in Italia. Alla chiesa italiana Papa Francesco disse due anni fa, a Firenze: “Non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”. Francesco che adesso va in Egitto senza scorta, a rischio di farsi sparare. Ma del resto manco Pietro il pescatore quando arrivò a Roma, occidente, aveva i bodyguard.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"