Abu Bakr al Baghdadi proclama il Califfato dalla moschea di Mosul (LaPresse)

La guerra che perdiamo

Giulio Meotti

Hirsi Ali ha pubblicato un nuovo libro-choc, “The challenge of Dawa”: “Qual è il bilancio dall’11/9 a oggi? L’islam radicale è sempre più forte”

Cinque anni dopo l’attacco alle Torri gemelle, il filosofo inglese David Selbourne scrisse per il quotidiano Times un articolo illuminante per spiegare perché “l’occidente non vincerà la battaglia con l’islam” (il saggio si sarebbe sviluppato in un libro, “The Losing Battle with Islam”).

 

Selbourne elencava una serie di motivi: la divisione nel mondo non musulmano sulla definizione della guerra in corso, la natura dell’islam che viene fraintesa, la debolezza della leadership occidentale, la confusione degli “esperti” di islam, la soddisfazione vicaria avvertita da molti non-musulmani sulla sconfitta dell’America, la dipendenza dell’occidente dalle risorse materiali dei paesi islamici, e, infine, la convinzione occidentale che i concetti di modernità siano intrinsecamente vincenti rispetto all’islam.

 

Ayaan Hirsi Ali dà respiro a questo pessimismo nel suo nuovo libro-choc, “The challenge of Dawa”, uscito per le edizioni di Stanford, dove ha sede la Hoover Institution che ha finanziato il saggio. “Dall’11 settembre, almeno 1,7 trilioni di dollari sono stati spesi in combattimento e in costi di ricostruzione in Iraq, Siria, Afghanistan, e Pakistan. Il costo del bilancio complessivo delle guerre e della sicurezza dal 2001 al 2016 è di più di 3,6 trilioni di dollari. Tuttavia, nonostante i sacrifici di oltre cinquemila soldati che hanno perso la vita dall’11 settembre e le decine di migliaia che sono stati feriti, oggi l’islam politico è in aumento in tutto il mondo”. E’ sconsolante il bilancio che Hirsi Ali, dissidente dell’islam, ex parlamentare olandese e oggi fellow alla Harvard Law School, traccia nel libro. La prima parte, pessimista, è un grande bilancio della guerra al terrorismo islamico dal 2001 a oggi. E quella la stiamo perdendo, scrive Hirsi Ali. Nella seconda offre una ricetta su come vincerla.

 

Il terrorismo islamico è in grande spolvero, anche a giudicare dalla banale conta dei morti, il “bottino di guerra” principale dei jihadisti. “Degli ultimi sedici anni, l’anno peggiore per il terrorismo è stato il 2014, con novantatré paesi attaccati e 32.765 persone uccise. Il secondo peggiore è stato il 2015, con 29.376 morti. Nell’ultimo anno, quattro gruppi radicali islamici sono stati responsabili del 74 per cento di tutte le morti per terrorismo: lo Stato islamico, Boko Haram, i talebani e al Qaida. Anche se il mondo musulmano porta il fardello più pesante della violenza jihadista, l’occidente è sempre più sotto attacco”.

 

Sempre più profondo è il radicamento islamista nel mondo musulmano. “Quanto è grande il movimento jihadista in tutto il mondo? In Pakistan da solo, dove la popolazione è quasi interamente musulmana, il 13 per cento dei musulmani intervistati – più di 20 milioni di persone – dice che la violenza contro obiettivi civili è giustificata al fine di difendere l’islam dai nemici. Il numero di jihadisti musulmani occidentali è in notevole aumento. Le Nazioni Unite hanno stimato che circa 15 mila combattenti stranieri provenienti da almeno ottanta nazioni hanno viaggiato in Siria per unirsi al jihad. Circa un quarto di loro proviene dall’Europa occidentale. Secondo una stima, il 10-15 per cento dei musulmani di tutto il mondo è islamista: su 1,6 miliardi, ovvero il 23 per cento della popolazione del globo, questo implica più di 160 milioni di individui. Il supporto totale per le attività islamiste nel mondo è significativamente superiore a quello stimato”.

 

Questo vale anche per l’Europa occidentale. Secondo un rapporto ComRes commissionato dalla Bbc, il 27 per cento dei musulmani inglesi ha approvato la strage a Charlie Hebdo. Un sondaggio Icm, diffuso da Newsweek, rivela che il 16 per cento dei musulmani francesi simpatizza per l’Isis. La percentuale sale al 27 per cento fra i giovani di diciotto-ventiquattro anni.

 

Un sondaggio Cnrs su settemila studenti ha appena dimostrato che un terzo dei giovani musulmani di Francia aderisce al “fondamentalismo”. Un terzo. Il 32 per cento, ad esempio, non ha condannato completamente gli attacchi contro Charlie Hebdo e Hypercacher a Parigi. Tra gli studenti delle scuole superiori, il 70 per cento non condanna gli autori dei due attacchi. Il 44 per cento pensa che sia accettabile “in alcuni casi, nella società attuale”, “combattere con le armi in mano per la propria religione”. A settembre era uscito un altro sondaggio simile condotto da Ifop per il think tank Institut Montaigne: il 28 per cento dei musulmani in Francia è “fondamentalista” e vorrebbe sostituire la legge laica con la sharia. Ma la percentuale sale al cinquanta per cento se si considerano i giovani. Nel Regno Unito, un musulmano su cinque nutre simpatia per il Califfato. Tra i giovani musulmani europei, il consenso per gli attentati suicidi va dal 22 per cento in Germania al 29 per cento in Spagna, dal 35 per cento in Gran Bretagna al 42 per cento in Francia, secondo un sondaggio del Pew Forum. In questi anni, se l’occidente ha investito in guerre, droni e sicurezza, il mondo islamico ha irrorato la “dawa”, la predicazione dell’islam violento. “Dal 1973 al 2002, i sauditi hanno speso 87 miliardi di dollari per la ‘dawa’ all’estero”, scrive Hirsi Ali. “Le organizzazioni caritatevoli, dagli anni Settanta a oggi, hanno speso 110 miliardi, 40 dei quali per islamizzare l’Africa subsahariana”. Hirsi Ali definisce così la dawa: “E’ per gli islamisti quella che per i marxisti del XX secolo era la ‘lunga marcia attraverso le istituzioni’”. Per vincere la guerra, si deve affrontare prima l’ideologia. E quella, per ora, la stanno vincendo gli islamisti. Il terrore è un hardware che non può essere fermato se non si distrugge il software, l’islam radicale. E come funziona questo software?

 

“Con gruppi islamici ben organizzati, come la Fratellanza, che parlano a nome di tutti i musulmani, emarginando riformatori musulmani e dissidenti; favorendo l’immigrazione invocando la hijra, l’emigrazione del Profeta dalla Mecca a Medina; riducendo le donne al rango di macchine riproduttive al fine della trasformazione demografica; sfruttando l’attenzione sulla ‘inclusione’ da parte dei progressisti, costringendoli ad accettare le richieste islamiche in nome della coesistenza; aumentando la presenza islamista nel sistema educativo”.

 

“La strategia dominante dall’11 settembre a oggi, concentrandosi solo sulla violenza islamista, non ha funzionato”, scrive ancora Hirsi Ali. “Concentrandosi sugli atti di violenza, abbiamo ignorato l’ideologia che giustifica, promuove, celebra, e incoraggia la violenza, e i metodi della dawa utilizzati per diffondere l’ideologia. L’abbandono virtuale dell’Iraq, l’eccessivo affidamento sul potere aereo e gli attacchi di droni, la convinzione che le reti terroristiche possano in qualche modo essere decapitate, tutti questi sono stati errori tattici fondamentali. Ma chiaramente, non possiamo continuare a combattere l’islam politico impegnandoci su larga scala in interventi militari stranieri. Quindi cos’altro può essere fatto? In primo luogo, abbiamo bisogno di un cambiamento di paradigma che riconosca come il jihad si intreccia con l’infrastruttura ideologica della dawa. Questo riaprirà il dibattito su come bilanciare i diritti civili con il bisogno di sicurezza. E’ chiaramente fatalista suggerire, come ha fatto l’Amministrazione Obama, che gli americani devono imparare a convivere con la minaccia terroristica e che, sulla base di statistiche, gli americani sono più in pericolo per le loro vasche da bagno che per i terroristi islamici. La minaccia terroristica non può essere misurata solo dal numero di attacchi di successo. Le vasche da bagno non complottano per rovesciare il modo di vita americano. Gli islamisti sì”. Hirsi Ali critica “l’illusione che una linea possa in qualche modo essere tracciata fra l’islam, ‘una religione di pace’, rispettata da una maggioranza moderata, e ‘l’estremismo violento’, in cui è impegnata una piccola minoranza”.

 

I governi devono allearsi con i “riformatori”, non con gli “islamisti non violenti”; l’immigrazione deve includere lo “scrutinio ideologico” di chi richiede accesso alle democrazie; interrompere il flusso di denaro delle ong islamiche, spesso usate come cavallo di Troia per attività jihadiste, e nel frattempo la guerra convenzionale contro il jihad deve essere rafforzata anziché abbandonata, come è invece avvenuto negli ultimi anni.

 

Una vasca da bagno la ripari. L’islam radicale lo distruggi.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.