Ritratto di Josefina Alvear de Errazuriz di Giovanni Boldini, eseguito nel 1892. Olio su tela, 80 x 60 cm. Collezione Mainetti, Roma

Spregiudicate ma sempre divine. Ecco le femmes fatales di Boldini

Giuseppe Fantasia

"Le peintre italien de Paris" in mostra al Vittoriano

Donne spregiudicate, ossessionate dalla vertigine dei sensi, capaci di reprimere la loro natura corrotta oppure madri e mogli fedeli, sicuramente vanitose ma ben salde nelle loro virtù morali? Chi erano, cosa facevano e dove vivevano quelle femmes fatales della Belle époque che Giovanni Boldini (1842-1931), “le peintre italien de Paris”, ebbe l’onore e il merito di rappresentare nelle sue tele? Ognuna era per lui “divina” ed era quello l’aggettivo che amava usare di più, una sorta di superlativo assoluto il cui significato non stava nella bellezza estetica fine a se stessa, quanto nello charme aristocratico proprio di quelle regine del jet set internazionale. “La loro allure era determinata dal rango, dal titolo, dall’eleganza ma soprattutto dalla capacità di essere attuali e raffinatamente sensuali, di seguire la moda e in alcuni casi di influenzarne le tendenze”, ci spiega Tiziano Panconi che con Sergio Gaddi ha curato la mostra dedicata all’artista ferrarese al Complesso del Vittoriano di Roma visitabile fino al 16 luglio prossimo.

 

“Nei suoi ritratti – aggiunge – riuscì a cogliere lo stato d’animo e il turbamento provocato dalle pulsioni sessuali, dalle passioni e dalle attitudini più profonde della psiche delle sue muse, più o meno represse in nome della convenienza sociale”. Da quando, giovanissimo, si trasferì a Parigi, grazie alle giuste amicizie – in particolar modo, quella con il conte Robert de Montesquiou che pubblicizzò il suo “pariginismo” e la sua modernità definendolo “albero tentatore di tutte le Eve” – Boldini era richiesto dalle gran dame del suo giro e non solo, desiderose di avere un ritratto da quell’uomo con i baffetti che le provocava con boutade pungenti, che le distraeva e che le faceva ridere, confidente speciale e conoscitore di segreti inconfessabili. Da par suo, cercava di renderle al meglio fermandone la bellezza prima che il tempo facesse il suo corso oltre a coglierne le suggestioni erotiche, l’intelligenza e i caratteri introspettivi e psicologici.

 

Dopo Forlì (indimenticabile la retrospettiva allestita, due anni fa, ai Musei di San Domenico), quelle donne sono tutte lì, nell’Ala Brasini del museo romano, mostrate in tutta l’essenza della loro ambiguità, in un bilico costante tra rassegnazione e ribellione. Percorrendo quelle sale dalle luci e dalle tonalità che valorizzano al meglio le opere esposte, potrete vedere da vicino le affascinanti ereditiere madame Blumenthal e madame Veil-Picard, madame Seligman e madame Fortuny, madame Montaland e mademoiselle De Nemidoff, elegantissime nei loro abiti sontuosi e fruscianti, impreziosite da acconciature sempre perfette e da gioielli considerevoli, come nel caso di Josefina Alvear Errázuriz (1892, collezione Mainetti, Roma), moglie dell’ambasciatore argentino a Parigi, che fissa lo spettatore come Lady Colin Campbell (1894), presa in prestito direttamente dalla National Portrait Gallery di Londra e realizzata, come le altre, con lunghe pennellate su uno sfondo soffuso che vi trascinerà ancora di più in una dimensione onirica e surreale.

 

Per un momento, ci sembra quasi di sentire le loro voci e i loro discorsi: c’è chi ride, chi fa pettegolezzi, chi riflette o si riposa, come Madame Remy Salvator (1900-1902), appoggiata allo schienale di una sedia, o come madame Helleu (1902-1904), sdraiata sulla spiaggia di Deauville, protetta da un parasole bianco come il cappello e i guanti. Una donna, il cui profilo ricorderebbe oggi quello di Sofia Coppola, fissa il vuoto ne “La tenda rossa” (1904), una delle opere più importanti di questa mostra organizzata e prodotta dal Gruppo Arthemisia che ne ha pubblicato il catalogo assieme a Skira. Su tutte loro, esposte insieme alle opere di trenta artisti contemporanei a Boldini (non perdete “La dama con l’ombrello” di James Tissot), sarà il ritratto di Donna Franca Florio (1901-1924) ad attirare la vostra attenzione. Fu suo marito Ignazio, erede di una delle più importanti famiglie imprenditoriali siciliane, ad affidare, nel 1901, a Boldini il compito di ritrarre la “Regina di Palermo”, come la chiamavano i suoi concittadini, una donna di singolare fascino e bellezza corteggiata da Vittorio Emanuele di Savoia e dall’imperatore Guglielmo II che la definì la “Stella d’Italia”. Il primo ritratto realizzato aveva una scollatura vertiginosa e mostrava un corpo dinamico con la spallina del vestito calata sul braccio, mettendo a nudo il décolleté e parte dei seni. L’uomo non gradì affatto e non gli pagò l’opera e soltanto una seconda versione – decisamente più casta – riuscì ad accontentarlo a tal punto da permetterne anche la presentazione alla Biennale di Venezia nel 1903. A distanza di anni, Boldini, proprio su richiesta di Donna Franca, chiamata “l’unica” dal D’Annunzio, riprese la prima versione del ritratto, conservata da sempre nel suo atelier, e realizzò il dipinto nella sua forma definitiva.

 

Dopo la rovina finanziaria dei Florio, fu comprato dal Barone de Rothschild e poi esposto, dal 2006, al Grand Hotel Villa Igiea di Palermo. Quella romana potrebbe essere l’ultima occasione per vederla dal vivo, perché sarà messa all’asta tra dieci giorni. I palermitani, però, non ci stanno, tanto che è partita una campagna di crowdfunding (con l’hashtag #RiportiamoacasaFranca), una colletta online per ricomprare il dipinto e riportarlo sull’isola, un’impresa titanica dal momento che si tratta del dodicesimo Boldini più costoso di sempre. “Palermo è stata designata Capitale Italiana della Cultura per il 2018: il solo modo utile per spendere il milione di euro assegnatole dal governo è quello di acquistare quel ritratto”, scrive Sgarbi su Facebook. Una provocazione? Non c’è dubbio, ma vediamo cosa accadrà.

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