Foto di Scott Robinson via Flickr

E' stato l'occidente ad aprire la porta al mondo post occidentale

Se le radici e la portata anche culturale dell’alleanza difensiva non sono chiare, e nemmeno nei luoghi deputati a tramandare il sapere si studiano più i fondamentali, mettere le mani nelle tasche dei contribuenti diventa difficile

New York. Nel 1968 dieci delle migliori cinquanta università americane avevano nel curriculum almeno un corso obbligatorio di “Western Civilization”, un’introduzione ai capisaldi del pensiero occidentale. Si spaziava da Platone a Dante fino ad Heidegger per imbattersi e riflettere sulle origini e il senso della civiltà che aveva prodotto le stesse università in cui l’occidente veniva tematizzato. Gli anni Settanta e Ottanta, incubatori del politicamente corretto fomentato dal senso di colpa occidentale, hanno visto l’ostracismo della disciplina, additata come strumento di oppressione in un mondo multipolare, pluralista, devoto agli dèi della “diversity”. Oggi nessuna delle prime cinquanta università ha corsi di “Western Civilization”, chi li offre lo fa in formula facoltativa e nei programmi non figurano soltanto testi occidentali, ma anche di altre tradizioni, nella convinzione che l’isolamento della nostra civiltà costituisca di per sé un gesto insensibile, un atto di violenza. E’ una delle testimonianze dell’odio di sé che domina questa fase della post modernità occidentale.

 

Bret Stephens, editorialista del Wall Street Journal, fa notare che la progressiva perdita di familiarità con i valori e gli ideali che hanno formato la nostra civiltà hanno reso generazioni di americani ed europei sostanzialmente incapaci di opporre argomentazioni persuasive quando un Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco parla gongolante dell’“ordine mondiale post occidentale”, oppure quando il vicepresidente degli Stati Uniti implora gli alleati della Nato di fare di più per contribuire alle spese della difesa. Se le radici e la portata anche culturale dell’alleanza difensiva non sono chiare, e nemmeno nei luoghi deputati a tramandare il sapere si studiano più i fondamentali, mettere le mani nelle tasche dei contribuenti diventa difficile.

Scrive Stephens: “L’occidente, come blocco geopolitico, espressione culturale e ideale morale, è profondamente nei guai. Per quanto la Russia possa essere economicamente debole, e per quanto cinico il suo popolo possa essere nei confronti del suo regime, i russi continuano ad abbeverarsi dal profondo pozzo  dell’autocoscienza di una civilizzazione. Lo stesso può essere detto dei cinesi, e forse perfino del mondo islamico, per quanto sia travagliato”. L’occidente, al contrario, è un insieme di idee e valori ormai irriconoscibili anche agli occhi dei suoi stessi abitanti, cosa che difficilmente lo rende attraente per chi sta fuori. L’occidentalizzazione della comunità umana, per un tempo pensata come destino inevitabile, ha avuto una battuta d’arresto, e per soprammercato sono cresciuti al suo interno leader identitari che preferiscono confini, appartenenze e valori di respiro nazionale, talvolta regionale, agli ideali universalisti che si trasmettevano nei corsi di “Western Civilization”.

 

Diverse nazioni che sembravano instradate verso ovest hanno interrotto, talvolta bruscamente, il loro percorso di avvicinamento.

 

La Russia è l’esempio più spettacolare, ma il neo-ottomanesimo turco non è da meno. Thailandia e Malaysia hanno scelto altre vie per affrontare il 21esimo secolo, con Donald Trump il Messico potrebbe iniziare a guardare a sud invece che a nord. Stephens non lamenta un’apocalittica scomparsa dell’occidente, quanto la perdita dell’autocoscienza, l’oblio di sé. L’occidente è incerto circa la propria esistenza. L’editorialista ne parla al passato: “C’è stato un tempo in cui l’occidente sapeva che cos’era. Lo sapeva perché dava insegnamenti su se stesso, spesso nei corsi di Western Civilization al primo anno. Sapeva che le sue fondamenta morali sono state messe a Gerusalemme, quelle filosofiche ad Atene, quelle giuridiche a Roma. Trattava con riverenza i concetti di ragione e rivelazione, libertà e responsabilità, le cui contraddizioni ha imparato ad armonizzare nel tempo”. Oggi l’occidente non soltanto non sa queste cose, ma non sa dove impararle.

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