Pop corn

Quella fissazione per il Paradiso nel cinema

Mariarosa Mancuso

I cristiani giapponesi in “Silence”, il documentario di Stefano Consiglio e altri film sul tema

I cristiani giapponesi visti in “Silence” di Martin Scorsese storpiano la parola Paradiso, ma non vedono l’ora di andarci. Con una velocità che stupisce anche i padri gesuiti – è lì che capiscono quante barriere culturali ancora restano tra i predicatori e i convertiti. I cristiani giapponesi a metà del Seicento vogliono andare in Paradiso per liberarsi dalla fatica dei campi e dalle tasse (oltre che per smettere di vivere nascosti in villaggetti-catacomba).

 

“Paradiso” – il documentario di Stefano Consiglio andato in onda la notte del 6 gennaio scorso su Rai Uno – pone la stessa domanda ai pellegrini a Roma per il Giubileo. La Porta Santa fu aperta poco dopo l’attentato al Bataclan, oltre che del Paradiso si parla dell’Inferno. Con la maiuscola e con la minuscola: in un film girato con la collaborazione del Centro Televisivo Vaticano fa uno strano effetto. Come fa uno strano effetto la voce fuori campo del regista Stefano Consiglio che all’inizio annuncia: “Abbiamo miracolosamente ottenuto il permesso di girare in Piazza San Pietro”. Della serie: nessuno si rilegge né si riascolta. Suvvia, almeno in Vaticano “miracolo” è un termine tecnico.

 

Sfilano i fedeli, interrogati appunto sul Paradiso, l’Inferno, l’eventualità di un anticipo paradisiaco sulla terra. Sono di varie sfumature e nazionalità, compresa una parigina musulmana che, elegantissima nel suo velo, sostiene che negli Emirati Arabi nessuno viene discriminato neppure se indossa la kippà. Manca solo la didascalia: “I musulmani moderati che vorremmo”. Puntuale arriva la sentenza “l’occidente ha le sue colpe, l’Isis l’abbiamo armato noi”. Il mondo è messo male, la guerra non è la soluzione. Per fortuna Papa Francesco è attento ai miserabili e all’ecologia. Certo, resta la questione del dolore innocente, ammette la suora (per non parlare del silenzio di Dio che turba Martin Scorsese e sta al cuore di un film lungamente covato). Anche i non credenti arrivano numerosi – ricaviamo la proporzione dal documentario, deve esserci uno strapuntino in Paradiso anche per loro.

 

Il tema ricorda uno strepitoso documentario girato nel 2003 da Ulrich Seidl con il titolo “Jesus, du weisst” (erano le suppliche e le lamentele rivolte dai fedeli a Gesù, un adolescente si lagnava delle tentazioni indotte dai brani scollacciati nella Bibbia). Bella occasione per confrontare gli stili. Il regista austriaco non compare, fa le domande e poi le taglia (chi ha pratica di interviste sa che contano le risposte, non il narcisismo di chi regge il microfono). Il regista italiano non taglia neanche un suo respiro, ripete domande sempre uguali (in due lingue, siamo international). L’austriaco cerca bizzarrie interessanti – come le malignità tra vicini sussurrate a Gesù crocefisso. L’italiano cerca ovvietà edificanti. Ritmo e curiosità non sono di questo mondo.

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