Non andate a vedere il mio film!, dice il regista del film culto in Asia

Giulia Pompili

Il successo strepitoso di “Your name.” (e il gender non c’entra)

Roma. E’ il più grande successo cinematografico giapponese dopo “Il castello errante di Howl” e “La città incantata” di Hayao Miyazaki, entrambi prodotti dal leggendario Studio Ghibli. “Your Name.” (con il punto alla fine, la versione originale è “Kimi no Na wa”) è uscito ad agosto dopo due anni di meticolosa produzione, scritto e diretto dal quarantatreenne Makoto Shinkai – un outsider, considerata la fama mondiale del maestro Miyazaki. Oltre a essere ininterrottamente primo nei box office giapponesi da settimane, “Your Name.” sta per sfondare la soglia dei 200 milioni di dollari di incassi nel mondo, con oltre sedici milioni di biglietti staccati. E si parla già di Oscar. Un successo inaspettato, ma gradito alla casa di produzione CoMix Wave Films, che ha inondato il mercato di accessori, gadget, video, tour guidati nella città di Hida, nella prefettura di Gifu, alla quale è ispirata l’ambientazione, per non parlare del romanzo omonimo di Shinkai, pubblicato qualche mese prima del film, che è tra i più venduti di sempre in Giappone. Gli anime, i film di animazione giapponesi ispirati soprattutto dal mondo dei fumetti (manga), dopo il cibo sono il miglior prodotto per il soft power che Tokyo potrà mai immaginare.

E’ per questo che quando “Your Name.” è uscito in Cina all’inizio di dicembre – superando le complicate autorizzazioni delle autorità di controllo cinesi – il film è diventato pure una questione politica. Secondo il Nikkei Asian Review, negli ultimi anni la censura cinese si è focalizzata piuttosto sui prodotti culturali provenienti dalla Corea del sud – boicottata anche a causa della possibile, prossima istallazione del sistema antimissilistico Thaad, di produzione americana. In Cina, il secondo mercato cinematografico dopo l’America, il film di Shinkai ha superato perfino il film sul gattone Doraemon con quasi 80 milioni di dollari di incassi e ha fatto festeggiare il governo di Tokyo, arrivato nei box office prima delle produzioni hollywoodiane che da anni tentano la scalata cinese (non solo, una media delle recensioni cinesi danno un voto complessivo che supera i 9 punti su dieci). In Italia il film uscirà soltanto tre giorni, dal 23 al 25 gennaio, ma non è detto che in Europa e in America “Your Name.” godrà dello stesso successo che ha avuto in Cina e in Thailandia, per esempio. Non per la storia in sé – tipico dramma adolescenziale: una ragazza e un ragazzo che frequentano il liceo, Mitsuha e Taki, si scambiano i corpi per qualche tempo e vivono in una specie di “sogno” che interverrà sui loro sentimenti e sulla loro vita – ma per tutti i temi che il film accarezza, dal misticismo alla difficoltà degli adolescenti asiatici nelle relazioni umane, dalla tradizione fino alla catastrofe naturale (tutto ruota intorno a una cometa che forse si abbatte sulla terra).

 

 

A rendere “Your Name.” ancora più interessante, poi, è la strana figura del regista Makoto Shinkai. Quando Miyazaki ha annunciato il suo pensionamento, il Giappone credeva di essere orfano ormai di un maestro dell’animazione. Poi è arrivato Shinkai, che però non risponde alle tradizionali caratteristiche della grande star internazionale. In un’intervista al South China Morning Post ha detto che la gente dovrebbe smettere di andare a vedere “Your Name.”: “Non è sano. Spero che nemmeno Miyazaki lo veda mai, perché noterebbe tutti i difetti. Ci sono tante cose che non siamo riusciti a fare in due anni di produzione, e il film così non è per niente perfetto”. Il paragone con i mostri sacri dello Studio Ghibli lo rende nervoso, e com’è tipico dei giapponesi, Shinkai minimizza le sue capacità perché, a casa, nessuno gli perdonerebbe mai la rivendicazione di un film “perfetto”, a “soli” quarantatré anni poi. E se sarà un flop, qui da noi, è anche perché quando qualcuno tenta di tirarlo per la giacca dentro argomenti tipici della società occidentale, Shinkai è sincero: durante la proiezione a Londra, un giornalista gli ha chiesto se avesse tentato di trattare un tema Lgbt con una storia di confusione sessuale (c’è un momento, quando Taki si sveglia nel corpo di Mitsuha, in cui non smette di toccarsi i seni). Il regista ha risposto: il tema dello scambio dei corpi e dei ruoli è un topos della cultura giapponese, ma il gender proprio non c’entra niente. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.