Fissarsi con gli squali. Il circolo vizioso tra informazione ed emozione

Antonio Pascale
Un po’ sono preoccupato. Cioè, se facessi un esperimento, diciamo che provassi a informarmi su qualcosa, e come un marziano passassi in rassegna le pagine dei giornali, consultassi i social, ecco probabilmente non riceverei delle informazioni ma solo emozioni.

Un po’ sono preoccupato. Cioè, se facessi un esperimento, diciamo che provassi a informarmi su qualcosa, e come un marziano passassi in rassegna le pagine dei giornali, consultassi i social, ecco probabilmente non riceverei delle informazioni ma solo emozioni. Emozioni che creano un sentimento di eccitazione e poi di seguito di paura. La paura ci corazza, ed è dunque  poi difficile chiedere alla persona spaventata di seguire un altro punto di vista. Quelli che lavorano nel settore, del resto, ci tengono a soddisfare i propri sponsor.  Mi conviene mantenere in piedi il circolo vizioso, così sono sicuro di offrire al mio cliente un soddisfacente prodotto tipico: eccitazione, brivido, paura, e mantenimento dello status quo. Sarei preoccupato, ma non voglio mollare. Il vecchio progetto platonico, quello di trasformare le opinioni in conoscenza, mi piace ancora tanto. Certo, è un progetto complicato, ci vuole un maestro, una buona pratica filosofica (di autopedagogia), inquietudine a iosa (sapere di non sapere) e metodo: e infine ci vuole anche un modello ideale a cui tendere.

 

Facciamo bene a preoccuparci, primo perché nessuno di noi sfugge a questo circolo – l’intellettuale, poi, rischia di diventare un jukebox, metti la monetina e quello suona la solita canzone che piace a quelli che frequentano il bar. Secondo, perché è inutile che cerchiamo scappatoie: democrazia non è demagogia (non c’è niente di speciale e di autentico nella pancia delle persone), al contrario, la democrazia è ricerca incessante di buone deliberazioni, e per queste ci vuole la conoscenza. Sono altresì preoccupato perché non vedo niente di speciale in noi, né come specie sapiens, figuratevi come intellettuali. Noi veniamo da tanto lontano. Avevamo altri obiettivi – cacciare, mangiare – e ci relazionavamo con poche persone.

 

Soprattutto quell’ambiente era, è stato, stabile. Poi, dopo la recente scoperta dell’agricoltura, le cose cambiano. Tuttavia i nostri neuroni rimangono gli stessi – e sebbene il cervello sia dotato di plasticità – ora devono controllare e relazionarsi con più cose. Da qui le dissonanze, le imperfezioni. Alcuni caratteri che in passato offrivano vantaggio selettivo ora possono portare  svantaggi, sono bias. Per esempio, pensate come, a proposito di imperfezioni, siamo soggetti al bias della disponibilità. Riteniamo vere le cose che più facilmente recuperiamo dalla memoria. Spesso sono quelle che più ci spaventano. Se mi chiedono quale animale ammazza più uomini in un anno e io magari ho visto lo squalo, beh, rispondo, la squalo, appunto. E no, per niente, prima ci sono le api e vespe poi altri mammiferi, poi i cani, e poi le mucche. Prendiamo questo esempio, esaminiamo il meccanismo dell’informazione e vedremo come le nostre credenze si fondino in gran parte sul bias della disponibilità. E il circolo vizioso, quel che conta è la paura: ci fa reagire e ci corazza – del resto che intellettuale sarei se non mettessi un po’ di paura alle persone, se parlassi solo con numeri e statistiche e delle mucche assassine?

 

Ci sono tuttavia delle proposte in cantiere. Una è quella di James Flynn (“Osa pensare”, Mondadori università): “Ho dato l’anima in 50 anni di insegnamento universitario (…) Mi fa diventare matto il pensiero dei tanti giovani brillanti che  frequentano le università con profitto, dei quali, una volta laureati, siamo costretti ad ammettere che non sanno pensare”. La sua proposta dunque: la scuola deve insegnare solo concetti chiave che aiutino a comprendere il mondo ed evidenziare quei concetti antichiave che, al contrario, oscurano il ragionamento. I concetti chiave sono tratti dalla filosofia morale, dalla biologia evolutiva, dalla matematica, dalla sociologia, dalla statistica. Oggi non possiamo fare informazione se non impariamo a sfuggire ai nostri stessi bias, in fondo la cultura è contro noi stessi, sennò ci fissiamo con gli squali, in senso lato e stretto.

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