Laura Palmer nel telefilm Twin Peaks

Il segreto (di marketing?) di Laura Palmer, già virale in tempi non virali

Marianna Rizzini
Il tormentone da “Twin peaks” a “1992” e il no di Lynch. Era talmente virale, quel “Chi ha ucciso Laura Palmer?”, nel 1990-91, nonostante non fossero tempi virali, che adesso, venticinque anni dopo, gli ex fan ormai informatizzati della serie tv culto “Twin peaks” sono scattati all’unisono sull’attenti.

Roma. Era talmente virale, quel “Chi ha ucciso Laura Palmer?”, nel 1990-91, nonostante non fossero tempi virali per il senso comune di oggi (non c’erano cellulari, non si usava internet) che adesso, venticinque anni dopo, gli ex fan ormai informatizzati della serie tv culto “Twin peaks” sono scattati all’unisono sull’attenti e sui social network alla brutta notizia che non si aspettavano, quella di ieri: David Lynch, regista della serie oltreché di vari film sempre culto (vedi “Velluto blu”), non dirigerà il sequel di quello che un tempo tutti chiamavano “telefilm” (atteso per il 2016 su Showtime). Pochi soldi, ha detto Lynch. E però non si rassegnano, i fan finalmente “virali” con tutti i crismi (tweet, sms, post su Facebook). E propongono “la colletta”, nel nome dei nuovi episodi della serie tv che “ha cambiato per sempre la storia delle serie tv” – questo hanno detto i critici nel ventennale della contestata chiusura anticipata di “Twin peaks” (la flessione inarrestabile degli ascolti, dopo il boom iniziale, aveva fatto passare il buonumore alla rete americana Abc). Tanto era virale in tempi non virali, “Twin peaks”, che (teatro nel teatro?) oggi compare nella serie tv di Sky Atlantic “1992”. E’ l’anno dopo “Twin peaks”, in Italia succede di tutto, e “Twin peaks” fa capolino sotto forma di citazione dei bei tempi (appena) andati sulla maglietta indossata da uno dei protagonisti (anche oggetto promozionale di simil-modernariato per la frase stampata in rosso: “Ho ucciso io Laura Palmer”).

 

Non si sapeva di essere già nel mondo virale, nel 1991, ma in qualche modo se ne subivano gli effetti. “Chi ha ucciso Laura Palmer”?, il tormentone suddetto, si era diffusa con rapidità incredibile nelle case e nelle scuole e al bar, con tutte le sue varianti per nerd o distratti: “Ma chi è Laura Palmer?”, chiedevano infatti i meno informati negli uffici o gli studenti con genitori poco disposti a sdoganare la visione di quello strano “telefilm” americano un po’ horror un po’ soprannaturale un po’ truce un po’ onirico ma soprattutto surreale e inquietante fin dalla musica di Angelo Badalamenti (paura allo stato puro a sentirla di notte, al buio).

 

Impossibile non vedere neppure una volta il “telefilm” ambientato in un paese al confine con il Canada dove si indossavano camicie a quadri e dove i nani parlavano a rovescio, le reginette del liceo finivano morte ammazzate e i segreti emergevano dai salotti che neanche a “Peyton Place”. C’erano pure, in ordine sparso: uno gnomo, un uomo con un braccio solo, una “Signora Ceppo” e un freak-show fatto di anziani silenziosi, padri reticenti e amiche tormentate, su sfondo di laghi scuri popolati da spiriti acquatici (e non) che aleggiavano sulle indagini di un ispettore Fbi di bell’aspetto, capace di mangiare per giorni soltanto crostata. In poco tempo, i non-informati più adulti, abituati ai sonnacchiosi, al confronto, “Dallas” e “Dynasty”, al pari dei non informati più giovani (reduci da “Saranno famosi” e non ancora adepti di “Beverly hills 90210”, sugli schermi l’anno dopo), venivano messi al corrente per sommi capi della novità “Twin Peaks” dagli opinion leader dei gruppi scolastici o lavorativi, e diventavano quasi sicuramente fan immediati di Laura Palmer (più che della serie in sé): creatura misteriosa, morta, ma in qualche modo viva, con un diario segreto che non spiegava quasi nulla; creatura virale nella sua indeterminatezza (“ma Laura Palmer è davvero morta?”, si domandavano i confusi dalla trama a tratti incomprensibile, vista l’impossibilità, in tempi non virali, di consultare su internet in diretta gli spettatori americani, già alla seconda serie e già annoiati). “Chi ha ucciso Laura Palmer?” diventava, per passaparola, la chiave del farsi spettatori-tifosi che, se escono, registrano su videocassetta (in mancanza di “on-demand”). Poi “Twin Peaks”, la serie simbolo dell’America nuova, con il suo “Chi ha ucciso Laura Palmer?”, conquistò pure Michail Gorbachev, dice la leggenda (e si disse che quella era davvero la fine della Guerra Fredda, oltreché dell’Urss).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.