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Una storia antica, l'Orsa uccisa e il "brand" del Trentino

Maurizio Crippa

San Romedio e la differenza tra farsi amico un orso ed essere animalisti feroci

Per salire e trovare il luogo del suo romitaggio si era incuneato su nella stretta valle, un canyon in miniatura, che l’acqua e le ère geologiche avevano scavato nella roccia, in fondo alla valle che oggi si chiama di Non, nel ridente Trentino, ma che allora non aveva di certo l’aria un po’ monotona ed efficiente della monocoltura di mele. C’erano invece un sacco di orsi. Orsi poco amici dell’uomo, e pure delle bestie addomesticate. Romedio arrivò in cima, c’erano grotte e spelonche, ci stette a vivere e a coltivare la santità, lontano dagli uomini ma non incattivito con loro, come oggi un Mauro Corona pieno di pretese animaliste nel suo romitaggio postmoderno.

 

Santo lo divenne, Romedio, tra il Quarto e Quinto secolo dell’epoca cristiana, avendo abbandonato come si usava allora la ricca famiglia bavarese, proprietaria di saline nella valle dell’Inn, in cambio di preghiera e solitudine. Ma anche dell’amicizia di un orso, un orso progenitore dell’orsa Kj2 di cui ora tutti parlano e straparlano, perché l’hanno abbattuta. Gli è che Romedio proprio solo non stava, aveva discepoli e un cavallo. E un giorno che doveva partire (eremiti che si muovono) il discepolo gli disse che un orso aveva sbranato il cavallo. Diversamente da Ugo Rossi, presidente della provincia di Trento, san Romedio non si scompose: ordinò di sellare l’orso, e l’orso lasciò fare, si prese in spalla Romedio e lo portò tranquillo fino a Trento. Rimasero amici, i due.

 

Tant’è che il ricordo dell’orso di san Romedio non è mai sbiadito. E oggi, in cima a quella stretta gola di sassi e spuntoni c’è il santuario di San Romedio, che chi non l’ha visto si perde qualcosa. Sembra un castello medievale, sembra di essere sui bricchi della Transilvania. Sono cinque piccole chiese costruite una sulla testa dell’altra in cima a uno sperone di roccia sopra uno strapiombo, unite da una lunga scala di pietra ripida. All’ingresso, in basso, campeggia la statua dell’orso. E lì a fianco, in un recinto che i turisti e i bambini osservavano dall’alto per lungo tempo viveva un orso, ben accudito, a ricordare l’antica amicizia.

 

E basterebbe questa storia per spiegare agli animalisti feroci e ai benpensanti che non frequentano i boschi quanto sia stupida la campagna che stanno scatenando, contro il Trentino: “Saremo il vostro incubo”, hanno scritto su un lenzuolo-sudario messo lì nel posto sul terreno in cui le guardie forestali della provincia autonoma di Trento hanno ucciso l’orsa Kj2. L’hanno uccisa non per cattiveria, dovrebbe essere chiaro; l’hanno uccisa perché probabilmente non c’erano altri modi di “mettere in sicurezza” (si dice così) la popolazione. Dovrebbe essere chiaro anche questo, ma per qualcuno non lo è. Tant’è vero che associazioni animaliste e ambientaliste di mezza Italia hanno annunciato una denuncia addirittura penale contro Ugo Rossi. Sosterranno l’accusa di omicidio?

  

Basterebbe la storia di Romedio e del suo orso per spiegare che non c’è nulla, nell’anima e nel Dna del Trentino, che giustifichi tanta ferocia giustizialista. Da queste parti hanno sempre amato la natura e gli animali perché sono fonti di vita, o almeno di sussistenza, e persino mezzi di trasporto, quando serve. Ma non entità da divinizzare, a costo di sentirsi “intrusi”, come ha detto Corona (lo stesso che pochi giorni fa voleva corcare con la scure gli umani intrusi nella sua proprietà) nel “loro” mondo. Non a costo di preferire – eventualmente, si potrebbe arguire – di farsi sbranare da un’orsa nel bosco, giusto per un punto di correctness ambientale. Ma soprattutto, basterebbe riflettere sul fatto che il Trentino è uno dei territori non solo d’Italia, ma in Europa, più evoluti nella salvaguardia e nell’utilizzo consapevole del proprio territorio. Al punto che giusto un anno fa ha approvato una serie di misure intese a coordinare una strategia di brand identity per comunicare (e “sfruttare”, se la parola non vi disturba) al meglio le sue potenzialità e bellezze ambientali, dunque economiche, dunque sociali, dunque umane. Abbattere un orso pericoloso non è essere nemici della natura. Farsi amica la natura (orsi compresi, quando si può) è una cosa che in Trentino sanno fin dai tempi di Romedio. Il resto, sono scemenze di Ferragosto.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"