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La truffa del “nuovo Olocausto”

Giulio Meotti

Giudici che paragonano un centro per migranti a un lager nazista. Intellettuali alla Erri de Luca che parlano di “sterminio di massa” di migranti. Alla radice del grande inganno culturale e lessicale di chi non vuole governare l’immigrazione

Roma. L’ideologia, messa in circolazione dai giornali, finisce spesso per entrare nelle sentenze dei magistrati. Ieri, la prima sezione civile del tribunale di Bari ha condannato la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno a versare un risarcimento di 30 mila euro al comune di Bari. Motivo? Il “danno all’immagine” causato dalla presenza di un “cie”, i centri di identificazione dei migranti. “Si pensi ad Auschwitz, luogo che richiama alla mente di tutti immediatamente il campo di concentramento simbolo dell’Olocausto” osserva il magistrato. “E non di certo la cittadina polacca sita nelle vicinanze”. Dunque, secondo la magistratura un centro per migranti sfigurerebbe il territorio barese come ha fatto il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau alla cittadina polacca di Oswiecim.

 

L’uso sbrigativo, la reiterata propensione comparativa di categorie esplosive, come “sterminio” e “genocidio”, iniziò proprio contro i cie. “Quei lager chiamati Cie”, partì MicroMega dedicandogli un dossier. Poi La Repubblica, sorella nel gruppo Espresso: “Ecco l’inferno del centro immigrati. Campo di concentramento al San Paolo”. La Repubblica sembra aver ritrovato una missione nell’immigrazione, elevandola a causa ideologica, contro il tentativo del governo Gentiloni e del ministro dell’Interno Minniti di regolare i flussi dalla Libia. Si inizia con i pezzi di cronaca, come quello dell’8 agosto: “Libia, arrivano meno migranti che così finiscono nel lager” scrive Rep. Nei confronti dei migranti si consumano “atrocità degne dei peggiori campi di sterminio del XX secolo”.

 

Si scopre che la Kolyma non è più battuta dalle tormente siberiane, ma dalle tempeste di sabbia del deserto libico. La polacca Sobibor oggi è la libica Sabha. Coloro che consideravano “banalizzante” e dissacrante il paragone tra i sei milioni di ebrei dello sterminio nazista con i milioni nei regimi comunisti, gli anti-comparativi di allora, si sono trasformati nei super-comparativi che ora considerano doveroso mettere sullo stesso piano la più grande tragedia della storia con i campi per migranti in Italia e in Libia. È anche arrivato, rilanciato su Repubblica, l’appello firmato da intellettuali, personalità e ong, dal titolo “Io preferirei di no”, accompagnato dal filo spinato di un lager. Il titolo richiama i dodici professori che si rifiutarono di firmare il giuramento Gentile al regime fascista, lo storico Gaetano De Sanctis, il chimico Giorgio Errera, l’orientalista Giorgio Levi della Vida, il filosofo Piero Martinetti e lo storico dell’arte Lionello Venturi. Sui migranti, si legge nell’appello, “è in corso un nuovo sterminio di massa”. Allora “il nostro governo non è indifferente a questa carneficina ma complice”, inviando navi per impedire ai migranti di lasciare le coste e “perseguitando” le ong. Fra i firmatari, lo scrittore Erri de Luca e il critico d’arte Tomaso Montanari, l’Arci ed Emergency, sindacalisti, Moni Ovadia, sacerdoti come Alex Zanotelli e la Comunità di San Benedetto di don Gallo, ma anche i segretari di Sinistra Italiana e Rifondazione, Nicola Fratoianni e Maurizio Acerbo, e poi Vauro (quello che a Servizio Pubblico faceva vignette sull’“Olocausto dei migranti”).

 

È lo stesso Erri de Luca che vede “vernichtung”, sterminio, ovunque, tranne dove c’è stato, come nelle terre dell’Isis. De Luca ha lanciato la campagna contro “lo sterminio degli ulivi pugliesi” (che tempi quando Elie Wiesel implorava i commentatori di tutto il mondo ad astenersi dal tirare in ballo l’Olocausto persino sul Kosovo). Paragoni che diminuiscono la capacità di capire e di distinguere. Ma a una cosa servono: riaprire le rotte, costi quel che costi. Poi uno ripensa alle vecchie edizioni di Repubblica. E si ricorda che il “lager”, prima che nei centri per migranti, il grande quotidiano lo ha visto rinascere in una caserma di Genova: “Il lager Bolzaneto”. “Bolzaneto, il lager dei Gom”. “Il lager-prigione di Bolzaneto”. “Bolzaneto, immagini dal lager”. Di questo passo la Shoah è diventata tutto e niente. In Italia si iniziò chiamandola “Giorno della memoria”, quando in tutto il mondo è la “Giornata internazionale di commemorazione delle vittime dell’Olocausto”. Si è finiti istituendo la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”.

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.