Operazione di salvataggio di 433 migranti al largo della costa libica (foto LaPresse)

Sul traffico di migranti (e dossier) irrompe la Guardia costiera: "Soccorrere è un obbligo"

Redazione

L'ammiraglio Melone chiarisce molti punti nel dibattito sulle Ong. Intanto quotidiani e settimanali pubblicano le accuse contenute nel fascicolo di Frontex su cui indaga il procuratore Zuccaro

Le Organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo, nel 90 per cento dei salvataggi effettuati, individuano direttamente le imbarcazioni che trasportano migranti, prima che sia partita una richiesta di aiuto e prima delle comunicazioni da parte della Guardia costiera, e sono attivate direttamente dai migranti stessi: i telefoni satellitari consegnati agli scafisti contengono infatti numeri delle imbarcazioni che intervengono. Sarebbero queste, secondo quanto riferito dal Corriere della Sera, le accuse contenute nel dossier di Frontex su cui indaga il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. Accuse alle quali le Ong hanno già più volte replicato respingendole come "infamie" e ribadendo che il loro "unico obiettivo è salvare vite umane". Frontex sostiene che "prima e durante le operazioni di salvataggio alcune Ong hanno spento i transponder per parecchio tempo".

E oggi il settimanale Panorama scrive che sul tema c'è anche un’indagine della procura di Trapani che coinvolge una Ong per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. L'indagine è partita dopo un’operazione in mare della nave “umanitaria”, che sarebbe entrata in azione senza aver ricevuto un Sos e neppure una richiesta di intervento da parte delle autorità italiane.

Il procuratore aggiunto di Trapani, Ambrogio Cartosio, ha spiegato che ''le Ong hanno necessariamente un proprio codice etico che prescinde dalla legislazione nazionale dei singoli stati in cui operano. Hanno necessità di muoversi liberamente in acque internazionali e ci sono paesi in cui il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina è reato, come l'Italia, altri in cui non lo è. Non c'è dubbio che una persona può muoversi per spirito umanitario ma può per questa regione commettere un reato. Noi facciamo i magistrati. Possiamo capire umanamente un determinato comportamento ma se c'è una legge dobbiamo applicarla''.

Operazione di salvataggio di 433 migranti, di cui 87 donne e 8 bambini, condotta dall'Ong Moas (Migrant Offshore Aid Station) e dalla Croce Rossa a bordo della nave Topaz Responder al largo della costa libica (foto LaPresse)


Sulla questione interviene anche, intervistata dalla Repubblica, la portavoce di Frontex, Izabella Cooper. "Noi non abbiamo mai accusato le Ong di collusione con i trafficanti di esseri umani", chiarisce. “Raccogliamo informazioni sui trafficanti libici e dei paesi di transito e poi le passiamo alla polizia e a Europol che svolgono le indagini sotto il controllo delle autorità italiane”.

"Abbiamo notato che negli ultimi due anni i trafficanti libici hanno cambiato il loro modo di operare. Dal 2016 la maggior parte dei soccorsi avviene al limite delle acque territoriali libiche", dice ancora la portavoce di Frontex. I trafficanti "riforniscono i gommoni di benzina, cibo e acqua sufficienti a percorrere giusto le 12 miglia per uscire dalle acque di Tripoli" e utilizzano mezzi "di qualità inferiore e li stipano anche con 170 persone mentre quando i viaggi erano più lunghi facevano imbarcare 90 migranti. A quanto ne sappiamo i trafficanti sfruttano la situazione: sanno che abbiamo l'obbligo internazionale di salvare i migranti in mare e ne approfittano".

 

Una teoria ribadita dal comandante generale delle Capitanerie di porto e della Guardia costiera, ammiraglio Vincenzo Melone, in audizione davanti alla commissione Difesa del Senato. "La Libia non ha mai dichiarato l'area search and rescue (sar), quando finisce l'area di responsabilità italiana c'è solo un enorme buco nero. E chi ha la responsabilità di intervenire? Chiunque abbia notizia di una situazione di pericolo ha l'obbligo di prestare soccorso e di condurre le persone salvate nel porto più sicuro. Un obbligo che ha qualsiasi comandante di qualsiasi nave. Ecco allora che l'area sar di competenza italiana si amplia dai 500 mila chilometri quadrati previsti dagli accordi a un milione e centomila chilometri quadrati, praticamente la metà del Mediterraneo. È ovvio che da sole le unità navali a nostra disposizione non ce la fanno e dunque dobbiamo chiamare a raccolta chiunque navighi in vicinanza di un evento sar, mercantili e navi delle Ong”.

In base alla Convenzione dei diritti dell'uomo, spiega Melone, è sancito il diritto al non respingimento e ad assicurare lo sbarco in luogo sicuro. Per questo i migranti soccorsi non vengono portati in Libia o in Tunisia, che sarebbero più vicini, ma sbarcati sempre in territorio italiano, vista l'assenza di accordi bilaterali con Malta, "con cui - sottolinea Melone - non si è mai riusciti ad addivenire a un accordo". Il comandante ha comunque escluso che il soccorso in prossimità delle acque territoriali libiche costituisca un fattore di attrazione per i trafficanti: "L'area di soccorso e ricerca non è la causa di questo evento epocale né può essere la soluzione che deve essere politica. La gestione dei soccorsi in mare è sintomo di una malattia che nasce e si sviluppa altrove, sulla terraferma, ed è li che bisogna intervenire". La strada degli accordi con la Libia è quella che secondo Melone va nella direzione giusta. Un’idea che fa eco a quella espressa dal ministro degli Esteri Angelino Alfano durante l''audizione alle commissioni riunite Esteri di Camera e Senato: “Per l''Italia la stabilizzazione della Libia ha un valore enorme: significa sicurezza nazionale, stop al traffico di esseri umani e riduzione del flusso di migranti”.