L'humus del Palazzo di Giustizia di Napoli in cui nacque la bufala della Terra dei fuochi

Silvestro Gallipoli

Non solo Consip. I "fusti nucleari", i "tir della camorra", e quell'ingiusto processo all'agricoltura

Napoli. La bufala della terra dei fuochi è il paradigma estremizzato, come avviene spesso a Napoli, dei problemi della giustizia in Italia. Gli ingredienti sono i soliti: pubblici ministeri che scelgono le inchieste sulla base di ciò che li può rendere più famosi, mezzi di informazione ridotti a buca delle lettere delle veline delle procure, caccia, a seconda della tipologia dell’organo di informazione, al “click baiting” all’audience o alla tiratura (che si tramutano, automaticamente, in introiti pubblicitari) e conseguenti processi mediatici in un brodo di coltura caratterizzato da una antiscientificità che spesso rasenta la superstizione, analfabetismo funzionale e uso sempre più diffuso dei social network.

 

A Napoli, questi ingredienti sono “insaporiti” dai tratti, tutti partenopei, della commedia scarpettiana e della sceneggiata napoletana con la salita sul proscenio di personaggi quantomeno “folcloristici” che, pur senza alcun comprovato background culturale, discettano e pontificano di scienze che vanno dalla medicina all’ambiente, dalla chimica ai rifiuti, dalla biologia alla botanica per finire all’agronomia raccogliendo, incredibilmente, credito e comparsate sui media.

 

 

Nicola Quatrano, un magistrato partenopeo aduso al giudizio dell’operato dei pm, assolvendo attualmente il compito di Gip dopo essere stato per anni al tribunale del Riesame, in un articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 9 aprile, partendo dal caso di una recente indagine su presunti casi di corruzione della procura di Napoli, associa la figura del signor K del celebre romanzo “Il processo” di Franz Kafka, ai “colletti bianchi” coinvolti nel procedimento. Colpiscono, particolarmente, alcune frasi della conclusione del pezzo che richiamano alla mente le esperienze vissute in questi anni di “terra dei fuochi”: “Gente impaurita che chiede di essere protetta dalla criminalità”; “poliziotti e giudici che tentano di rassicurarla con raffiche di arresti e conferenze stampa, poco importa se seguiti da condanne o assoluzioni”; “una storia in cui la sua vicenda personale non contava nulla o quasi. Lui, i suoi comportamenti, la sua famiglia, il suo futuro, poco più di un fondale di scena per attori diversi, per un altro copione”.

 

I “signor K” della terra dei fuochi sono gli agricoltori di Caivano. I pozzi degli agricoltori sono stati sequestrati nel 2013 con il procedimento seguito personalmente dall’allora sostituto procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso, ora (promosso) procuratore facente funzioni che in questi giorni sul caso Consip tiene a ribadire che non ci sono contrasti tra il palazzo di giustizia di Napoli e quello di Roma, per difendere l’operato del pm H. J. Woodcock. I guai dei “signor K” della terra dei fuochi nascono dall’allarme sociale provocato dal presunto “avvelenamento” dei nostri territori da parte di fantomatici imprenditori del nord in combutta con “camorristi” locali. Figure senza scrupoli uscite dalla fantasia di uno scrittore e divenute inspiegabilmente “reali”, come “reali” divennero gli extraterrestri della “guerra dei mondi” (“War of the Worlds”) di uno sceneggiato radiofonico interpretato da Orson Welles, rimasto famoso per avere scatenato il panico descrivendo una invasione aliena. La scena del film “Gomorra” in cui interi tir carichi di “fusti tossici” venivano sepolti nel terreno, da finzione scenica è divenuta immagine reale. Peccato che, nonostante il territorio della regione Campania sia stato battuto palmo a palmo, non sia mai stato trovato uno di questi tir. Ma, tant’è, ormai è difficile far perdere credito a quell’immagine. Nessuno, o pochissimi, ci ha provato. L’altra scena del film, in cui l’attore che interpreta il bieco camorrista senza scrupoli si rifiuta di mangiare le pesche raccolte nel terreno sotto cui sarebbero stati celati rifiuti, è all’origine della criminalizzazione dei prodotti agricoli campani.

 

Da qui il senso di insicurezza e paura da parte della popolazione che chiede di essere protetta. L’occasione è ghiotta per pm a caccia di notorietà e per organi di informazione dediti al “click baiting” nelle sue diverse forme. Non manca la più o meno volenterosa collaborazione di organi inquirenti, Ctp, Arpac e Asl. Il destino dei poveri “signor K” è segnato. I pozzi e i terreni di Caivano, dopo un’aspra battaglia legale, sono stati alla fine dissequestrati, ma la procura ha lanciato una ciambella di salvataggio all’Arpac e all’Asl per ottenere nuove ingiustificate – e ingiustificabili – interdizioni alla coltivazione pur di non ammettere apertamente di essersi sbagliata. Per non parlare di altri procedimenti in campo ambientale della Procura di Napoli, posti in essere da alcuni procuratori, che hanno portato avanti indagini e processi esitati in sentenze (non definitive) autocontradditorie e sicuramente con una percentuale di condannati irrisoria rispetto al numero degli indagati, al clamore mediatico sollevato e alla spesa pubblica da essi messa in moto. Una storia in cui le vicende personali delle vittime giudiziarie non contano nulla o quasi. Insieme alle loro famiglie e al loro futuro sono ridotti a poco più di un fondale di scena per attori diversi, per un altro copione.

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