I due agenti Cristian Movio (a sinistra) e Luca Scatà

Meglio i fascisti che fanno gli eroi degli eroi che fanno i fascisti

Massimiliano Trovato

La Germania non premia i due agenti che hanno ucciso il terrorista Amri per le loro simpatie destrorse. Ma un'onorificenza riconosce un atto di valore, non c'entra con gli orientamenti ideologici

Fascisteggianti, ergo impresentabili: Luca Scatà e Cristian Movio, i poliziotti che nello scorso dicembre, a Sesto San Giovanni, intercettarono e uccisero Anis Amri, il responsabile dell’attacco al mercatino di Natale di Berlino, non riceveranno alcuna onorificenza dal governo tedesco. Colpa o merito delle rispettive escursioni sui social: uno postava santini del Duce e si scagliava contro gli infami e i traditori («che ad uno ad uno sterminerem»); l’altro gli faceva eco, condividendo becere tirate xenofobe e fotomontaggi di dubbio gusto, come la bottiglia di Coca Cola personalizzata con il nome Adolf. Annusato il vento, l’amministrazione merkeliana – che aveva inizialmente annunciato l’intenzione di premiare i due agenti – è tornata sui propri passi, scatenando le reazioni pavloviane dei commentatori di casa nostra. 

 

 

Per le anime belle del centrosinistra, è impensabile che una democrazia – a maggior ragione, una democrazia aggravata dal bagaglio storico della Germania – si riduca a onorare due dichiarati antidemocratici; per il plotone nostalgico del centrodestra, nelle parole dell’intrepido Gasparri, si tratta di «un affronto che non dimenticheremo e del quale renderemo conto [sic] in ogni circostanza agli spocchiosi tedeschi» – premesso, però, che «dei riconoscimenti tedeschi […] in realtà non interessa niente a nessuno». Naturalmente, il governo tedesco è libero di assegnare le proprie onorificenze secondo i principî che ritenga più congrui; eppure, dato che parliamo non della palma di dipendente del mese di un fast food, bensì di riconoscimenti con un’immediata ricaduta politica, pare utile dedicare alla vicenda alcune riflessioni.

 

Prima di tutto, cosa s’intende premiare esattamente con un’onorificenza pubblica di questo tipo? Un’operazione brillantemente pianificata ed eseguita? Probabilmente no – e, se così fosse, l’uccisione di Amri, innescata in modo fortunoso, non rientrerebbe nella casistica. Neppure, però, si punta a remunerare il mero risultato: la neutralizzazione di un soggetto insidioso non rileverebbe se portata a termine casualmente – per esempio investendolo, senza neppure averlo riconosciuto, mentre attraversa la strada. Ciò che si richiede, invece, è la dimostrazione di coraggio e altruismo che si rinviene laddove qualcuno si esponga consapevolmente a un pericolo imminente per sventare una minaccia ad altri (o all’ordine pubblico).

 

 

L’onorificenza, cioè, attiene a specifici atti di valore, non certo a una valutazione complessiva della caratura morale dei loro autori. Supponiamo che gli orientamenti ideologici dei due agenti divergano radicalmente: fascista uno, Democratico con la “D” maiuscola l’altro. Sarebbe equo premiare solo il secondo a fronte di una condotta sostanzialmente analoga? E perché limitare l’esame caratteriale alle opinioni politiche? Dovremmo forse verificare che ogni candidato a un pubblico encomio sia fedele alla moglie e telefoni alla madre tutte le settimane?

 

C’è, poi, un problema più sottile, particolarmente sentito nel caso delle forze dell’ordine: quello della proporzionalità tra gli oneri (certi) e gli onori (eventuali): se i fascisti ci fanno così schifo da non poterli premiare, come possiamo sopportare di ricorrere ai loro servigi? Ipotizziamo che Scatà e Movio sventino uno scippo: non molti, nei panni della vittima, rincorrerebbero il ladro per restituirgli la refurtiva – «mi scusi molto, non avevo capito che i poliziotti fossero fascisti». È plausibile che la pur remota possibilità di un pubblico riconoscimento costituisca un’attrazione per gli aspiranti tutori della legge e specialmente per quelli provenienti da un certo brodo di coltura, spiccatamente sensibile a valori come l’onore e il sacrificio per la collettività. Ciò contribuirebbe a spiegare l’apparente prevalenza delle credenze destrorse tra le fila delle forze armate. 

 

 

Infine, questo sdegno ideologico – così simile all’approccio ormai prevalente nel dibattito pubblico, secondo il quale tutte le opinioni sgradevoli andrebbero estromesse dall’agone retorico – presenta un’ulteriore controindicazione: quella di rafforzare lo spirito di corpo e, pertanto, il richiamo delle posizioni marginalizzate. Le cattive idee vanno combattute con idee migliori, non con le riserve e le liste di proscrizione. Possiamo discutere sul preteso eroismo degli agenti di Sesto, ma l’ideologia non dovrebbe avere alcun rilievo nella discussione: meglio i fascisti che fanno gli eroi degli eroi che fanno i fascisti.

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