L'ad di Finmeccanica Mauro Moretti (Foto LaPresse)

Il silenzio è loro

Alberto Brambilla

Come da tradizione Confindustria non si pronuncia sul giustizialismo popolare. Il nuovo caso Moretti

Confindustria negli ultimi anni non ha mai interrotto la tradizione di non prendere posizione sulle aggressioni giudiziarie riguardanti i suoi iscritti oppure che interessavano settori di pertinenza dell'associazione delle grandi industrie private e pubbliche nazionali.

 

Il canovaccio si ripete ora con la gogna mediatica e pubblica scaturita dalla condanna in primo grado per la strage ferroviaria di Viareggio nei confronti dell'amministratore delegato di Finmeccanica Mauro Moretti, il quale ricopre incarichi vari e apicali nell'associazione – membro del Consiglio generale di Confindustria e del Gruppo tecnico ruropa di confindustria (rispettivamente da ottobre 2006 e da maggio 2012), membro del Consiglio Generale dell’Unione Industriali di Roma e Lazio (da maggio 2015). Le associazioni delle vittime della strage chiedono le immediate dimissioni di Moretti da Finmeccanica, società della difesa di rango mondiale, in quanto amministratore delegato di Ferrovie dello stato all'epoca dei fatti (è stato condannato in qualità di ex ad di Rfi).

 

Tuttavia le dimissioni non sono automatiche né dovute in quanto Finmeccanica, come altre partecipate pubbliche, non ha inserito nel suo statuto la cosiddetta direttiva Saccomanni sui requisiti di onorabilità dei manager (dimissioni anche in caso di condanna in primo grado). La clausola era infatti invisa agli azionisti, soprattutto internazionali, delle società pubbliche – che sono membri più pesanti nella Confindustria di oggi. Soprattutto perché, visto come vanno le inchieste e i processi in Italia, che si prolungano anni e possono non portare a nulla (vedi il caso di Porto Tolle e l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato dell'ex ad dell'Enel Paolo Scaroni e dell'ad Franco Tatò) una clausola del genere avrebbe soltanto rischiato di destabilizzare le multinazionali statali italiane.

 

Tuttavia anziché prendere posizione Confindustria sotto l'attuale presidenza di Vincenzo Boccia preferisce non pronunciarsi come fece nel caso dell'inchiesta cosiddetta Tempa Rossa che comportò le dimissioni di Federica Guidi, ex presidente di Confindustria giovani, da ministro dello Sviluppo economico (inchiesta finita in nulla, sui giornaloni a pagina undici), e sta danneggiando l'economia della Basilicata e l'Eni.

 

Ma forse la timidezza di Confindustriale nei confronti delle intemerate giudiziarie con un certo seguito popolare non è una grande novità. Con Giorgio Squinzi andò un po' meglio: solo dopo qualche mese dai sequestri paralizzanti alla Tirreno Power di Vado Ligure e all'Ilva di Taranto che l'ex presidente degli industriali (2004-'08) decise di produrre una difesa dell'industria italiana dalla magistratura.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.