Una veduta aerea delle macerie di Amatrice sotto la neve (foto LaPresse)

La lotteria del disonore per le casette post sisma e l'indifferenza dei pm

Giuseppe Sottile

Un grande torto ai terremotati. Un appalto, quello per le case di legno, andato a male. E tanti, tanti silenzi

Ma dov’è quel padreterno degli appalti che risponde al nome di Raffaele Cantone, il giudice senza lacci e senza paura messo lì da Matteo Renzi a guardia della legalità e dell’anticorruzione? E dove sono tutti quei magistrati coraggiosi che, come Cantone, non lasciano nessun anfratto da esplorare, nessun sospetto da approfondire e nessun mistero da sviscerare? Diciamolo: nella vasta Italia dei controllori e dei giureconsulti si avverte un grande vuoto: grande quanto le terre devastate dal terremoto; grande come il dolore e l’afflizione di quei povericristi ai quali si dovevano dare le casette di legno che, in questi brutti mesi di inverno, avrebbero potuto attenuare il martirio del gelo e delle scosse. Ma su questa defaillance, su questo piccolo grande smacco – ben altra cosa rispetto alle mastodontiche inchieste alle quale ci hanno abituati i protagonisti dello star system giudiziario – non si è trovato un solo magistrato disponibile a mettere i piedini tra le macerie e il ghiaccio di quelle terre sfortunate per capire quantomeno le ragioni di un ritardo così inspiegabile e colposo.

 

E dire che la notizia criminis, se proprio vogliamo chiamarla così, non è mancata. L’11 gennaio, quando il freddo artico cominciava già a sferzare il versante adriatico, il comune di Norcia aveva messo in piedi una sorta di lotteria tra sventurati: in premio c’erano 20 casette a fronte di 89 richieste. La riffa del disonore aveva sfiorato anche Amatrice, dove erano appena arrivate 25 abitazioni provvisorie mentre le famiglie che ne avevano urgente bisogno erano almeno 31. Come avrebbero fatto gli altri? E Come faranno quelli di Pescara del Tronto o di Arquata che dovranno aspettare fino a giugno prima di potersi liberare della tenda o della roulotte per trovare finalmente riparo entro quattro pareti riscaldate? La gara d’appalto per le casette – importo: un miliardo e duecento milioni, mica pizza e fichi – era stata avviata dalla Consip, la centrale per gli acquisti che fa capo al ministero del Tesoro, addirittura nel 2014, due anni prima che i terremoti, quello di agosto e quello di ottobre, sconvolgessero in maniera così disastrosa il centro Italia. E nell’agosto del 2015 la gara poteva dirsi già conclusa: se l’era aggiudicata, manco a dirlo, il Consorzio nazionale servizi, un colosso della Lega delle Cooperative. Il quale consorzio si è impegnato a garantire, in caso di calamità, una fornitura fino a 18 mila moduli abitativi da 40, 60 e 80 metri quadrati per un periodo di almeno sei anni. Si deve probabilmente a questa clausola la sicurezza con la quale l’ex premier Renzi o il capo dello stato Mattarella, in visita tra i lutti e le sofferenze del terremoto, hanno potuto promettere agli abitanti di quei luoghi che le casette sarebbero arrivate certamente prima di Natale.

 

Invece le Sae – tecnicamente si chiamano così: soluzioni abitative in emergenza – sono entrate contro ogni previsione in un groviglio opaco dal quale difficilmente verranno fuori prima del giugno di quest’anno. Com’è ovvio, assieme ai ritardi è cominciato lo scaricabarile: il consorzio della Lega coop, in sigla Cns, sostiene che prima di installare le casette dovranno essere approntate dal Genio militare le piattaforme di cemento; il Genio ovviamente non muove foglia senza il via libera della Protezione civile; e la Protezione civile, va da sé, puntualmente se la prende con le regioni o con i comuni che non hanno presentato il “modulo di richiesta” nei tempi previsti dal capitolato d’appalto. Il risultato finale, però, è uno solo: che le casette potevano essere consegnate prima di Natale e invece, se tutto andrà bene, se ne parlerà tra sei mesi. Panorama, in edicola da ieri, ricostruisce in un editoriale a firma del suo direttore, Giorgio Mulè, tutti i passaggi dello scandalo. Ne viene fuori il ritratto di un “conservatorismo burocratico” che nessuna emergenza, nemmeno un cataclisma violento come quello che ha raso al suolo Amatrice o Norcia o Arquata riuscirà mai a scalfire o a ridimensionare. Si prenda il caso di Pescara del Tronto. La consegna delle prime 54 casette non è sicura nemmeno per il prossimo giugno in quanto deve essere ancora bandita la gara per l’urbanizzazione dell’area dove le Sae dovrebbero sorgere. Di chi è la colpa?

 

Per rispondere servirebbe l’occhio serpigno o il naso aquilino di un magistrato. Certo, c’è una lentezza da imputare al consorzio della Lega che pure vanta, sui depliant, “un centinaio di operai specializzati” e la straordinaria capacità di montare e consegnare 850 case in 100 giorni. E c’è anche da tenere presente che i sindaci, spesso eroi soli e disperati, non sempre sono in grado di “ tagliare le unghie” alla burocrazia o di contrastare ritmi e comportamenti di un colosso imprenditoriale, per di più politicamente ben piazzato, come quello che ha vinto la gara indetta dalla Consip. Ma va pure ricordato che, sopra i sindaci, c’è Vasco Errani, il commissario straordinario nominato dal governo per accelerare la ricostruzione, e che sopra Errani ci sono tutti quelli che avrebbero dovuto controllare e non hanno controllato il claudicante percorso delle casette, dalla fabbrica di Terni fino alle zone flagellate dal freddo e dalle scosse.

 

Tuttavia non credano, gli scettici, che Cantone o i magistrati coraggiosi abbiano rinunciato definitivamente a occuparsi di quelle terre e di quei presepi sventrati dal sisma. Mettiamo il caso che un terremotato senza pazienza e con due lire in tasca vada a Terni, acquisti in proprio una casetta di legno e se la faccia montare in un suo appezzamento di terreno: poiché tutti temono ormai i tempi lunghi e snervanti dello sciame, un fatto del genere potrebbe anche succedere. Ma a quel punto, che Dio lo salvi: il terremotato senza pazienza e senza capacità di sopportazione commetterebbe un reato in grado di trascinarlo, se non proprio in galera, certamente in un grandissimo guaio. Il magistrato di turno, forte di quel granitico principio che è l’obbligatorietà dell’azione penale, gli contesterebbe senza esitare l’abuso edilizio. La casetta che va bene non è quella privata, ma quella pubblica, anche se non arriva mai. O bere o affogare: il terremotato non ha altra via di scampo. 

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  • Giuseppe Sottile
  • Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.