foto British Library

Il mondo non si divide tra Tav e regionale

Antonio Pascale
Capire qual è stata la dinamica dell’incidente, individuare le responsabilità e impegnarsi a cercare quei rimedi utili a impedire futuri scontri, dovrebbe essere il punto. Non è così. I commentatori della tragedia pugliese escano dalle contraddizioni del loro nostalgico vagone business.

E’ accaduta una tragedia, due treni si sono scontrati, molte persone sono morte. Cosa si può fare? Naturalmente capire qual è stata la dinamica dell’incidente, individuare le responsabilità e impegnarsi a cercare quei rimedi utili a impedire futuri scontri. Poi come accade spesso, davanti alle tragedie, molti di noi si dimostrano altruistici – si danno da fare, collaborano, donano il sangue – è un tratto umano, molto nobile. L’altruismo è un’evoluzione dell’egoismo, è solo un’abile previsione delle sventure che ci possono capitare; aiutiamo gli altri affinché gli altri aiutino noi casomai ci trovassimo nelle loro stesse condizioni, così diceva François de La Rochefoucauld. Ma non c’è dubbio: attraverso l’altruismo passano i nostri migliori sentimenti e un ventaglio di emozioni attraverso il quale possiamo conoscere noi stessi e gli altri e costruire insieme cose belle e durature e utili. Quindi probabile che molti di noi, commentatori di fatti (tragici e non) per quotidiani e altro, siano presi da un sentimento altruistico.

 

Almeno a leggere alcuni commenti e titoli di giornali, tanti di noi sembrano preoccupati per la divisione del nostro paese in due tronconi, uno ricco e uno povero, uno ad alta e uno a bassa velocità. Magari molti di noi commentatori stiamo nel troncone ricco e dunque ci preoccupiamo di dar voce a quelli del troncone povero, anche qui, una sorta di sguardo altruistico. Ne descriviamo abitudini e comportamenti, ci sembrano più belli e migliori di quelli che abitano l’altro troncone, quest’ultimi più cinici e pieni di vizi. Insomma si instaura una certa tendenza alla divisione, da una parte c’è un treno di prima classe abitato da signori, vestiti con velluti e ori (per dirla alla Guccini) e hanno facce diverse, e diversa è anche la loro antropologia. Dall’altra un treno pieno di gente che vive giorni magri e difficili. Di sicuro è l’effetto del dolore davanti a due treni devastati, tuttavia non sono sicuro che questa divisione netta sia una maniera efficace per analizzare le situazioni. A prescindere dall’incidente ferroviario, sono figure retoriche che si leggono spesso, e credo ciò sia un vizio di noi intellettuali. A volte per esempio usiamo la tecnica del riflettore, inquadriamo ciò che nell’altro è scostante e  ridicolo, solo per poter vincere facile. Altre volte siamo vittime del bias della disponibilità, riteniamo vere le cose che più facilmente ricordiamo: e le catalogazioni nette sono tra queste.

 

Questa semplificazione riduce il nostro sguardo e la nostra comprensione dei problemi anche se tuttavia, dall’altra parte, va detto, accresce il nostro prestigio come intellettuali. I treni ad alta velocità possono usufruire  di investimenti tecnologici perché rispondono a una domanda ampia, infatti già in un treno ad alta velocità possiamo trovare fasce sociali differenti: i ricchi, il ceto medio e i poveri, gli studenti, le casalinghe, gli impiegati, i pendolari il nord e il sud, questi e altri li potete trovare in un treno ad alta velocità, basta lasciare la prima classe e avventurarsi in coda. C’è poi un altro principio che sostiene questa catalogazione semplificata: vogliamo tutto e gratis. Magari in caso di sciagure siamo pronti a chiedere investimenti per raddoppiare le linee salvo poi contestare, per una sorta di effetto No Tav, gli espropri, i cantieri, eccetera. Amiamo prendere il treno veloce e magari scegliamo la prima classe perché vogliamo più spazio per noi e non incrociare i famosi altri, anzi nemmeno li vediamo che sono tra noi. Se poi i treni lenti hanno problemi chiediamo a gran voce che diventino più veloci, e tuttavia se diventassero davvero più veloci rimpiangeremmo quella lentezza di un tempo, quando le gente era più  povera ma più autentica e non corrotta dalla fretta che la modernità genera, e soprattutto se ne stava per conto suo.

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